Qualcuno, Leonardo Animali, l’ha chiamata facendone pure un hashtag #strategiadellabbandono. Ed è il destino toccato in sorte, almeno finora, a buona parte dell’Italia interna, non solo per intenderci le Italie piegate in due dal terremoto del 2016/2017 o prim’ancora dal sisma aquilano del 6 aprile 2009. Non c’è alcuna “patologia” complottista nella formulazione della strategia dell’abbandono. Si tratta, piuttosto, di una sintesi a fronte di una serie di inconfutabili evidenze che interessano il presente e gli scenari del futuro possibile dei paesi, dei territori e delle comunità di quella che non si riesce a definire altrimenti se non Italia fragile.
Il risveglio tardivo e irragionevole del Parco dei Sibillini
Ora ad avvalorare una volta di più che la strategia dell’abbandono esiste giunge una notizia a dir poco singolare se non inquietante. Sono le 15 e 29 di una domenica d’estate, è il Primo luglio e mentre in quel di Castelluccio di Norcia si festeggia la Madonna della Cona l’Ansa batte una notizia: “Stop all’installazione del cantiere e del campo base temporaneo per maestranze per i lavori di ripristino del corpo stradale della Sp 136 “Pian Perduto” tra Marche e Umbria, unico collegamento tra la provincia di Macerata e Castelluccio di Norcia (Perugia) nel cuore del Parco Nazionale dei Monti Sibillini”. Che cosa sta succedendo? “Secondo il direttore dell’ente Parco – si legge ancora nell’Ansa – l’area scelta è di rilevante valore paesaggistico e ambientale in base al Piano del Parco e quindi le aree di cantiere ed eventuale campo base, che per altro sono temporanee, vanno individuate lungo il tratto stradale senza occupazione di nuove aree”.
Letta così si evincerebbe che, legittimamente, il direttore del Parco Carlo Bifulco si sia preoccupato senza se e senza ma di rivendicare il primato della salvaguardia del paesaggio e dell’ambiente. Eppure c’è qualcosa che non torna. Si fatica, anzi non si riesce proprio, a comprendere come sia stato invece possibile che lo stesso direttore del Parco dei Sibillini abbia dato il via libera al Deltaplano, il famigerato e impattante villaggio delle attività produttive dove si potrà mangiare e comprare prodotti tipici con vista sulla fioritura nel bel mezzo della Piana di Castelluccio. E fosse finita qui. Magari. Forse il deltaplano che d’ora innanzi, non per esigenze di sintesi ma per rivendicare un legittimo diritto di critica, chiameremo ecomostro (con buona pace di Nicola Alemanno, sindaco di Norcia) non è nemmeno il peggio. Perché se l’ecomostro può trovare la sua plausibilità nelle istanze degli operatori economici castellucciani risulta aberrante e incomprensibile che ai piedi di Castelluccio, ancora nella Piana, lo stesso Parco dei Sibillini abbia autorizzato l’area di stoccaggio delle macerie, di fatto in situ, della povera Castelluccio.
Castelluccio, il sito di stoccaggio delle macerie. Giugno 2018. Foto di Attilio Gagliardi
Ecco. Com’è possibile che il parco abbia ora da eccepire sulle aree di cantiere, per loro definizione temporanee, che si realizzerebbero per ripristinare un collegamento stradale di importanza vitale e che sull’ecomostro e il sito di stoccaggio delle macerie andasse tutto bene? Abbiamo il ragionevole dubbio che, in quel del Parco dei Sibillini, le ragioni della tutela degli equilibri ambientali e paesaggistici siano la risultante di una singolare visione “selettiva” o, se si preferisce, a corrente alternata.
Il ricatto, ovvero l’ambiente svenduto in cambio di un piatto di lenticchie
Una fioritura avvelenata, allora, questa del 2018. E non solo per colpa dei turisti maleducati che i fiori delle lenticchie li calpestano per un selfie o una foto ricordo. I castellucciani nel frattempo insorgono sui social cospargendo con un rosario di improperi i turisti maleducati, anche se non vedono l’ora possano ritornare in massa a occupare se non la Piana o il borgo che non c’è più, almeno le sale ristorante dell’ecomostro che verrà. E’ una comunità, quella di Castelluccio, letteralmente sotto ricatto com’è sotto ricatto della scelta dilaniante fra lavoro e salute la città di Taranto, quotidianamente avvelenata dall’Ilva. Una comunità che pur di rinascere accetta non solo lo scempio del deltaplano ma anche che le macerie della Castelluccio che fu siano stoccate in situ, a differenza di quello che resta di Arquata del Tronto e delle sue frazioni dove le macerie si fanno 60 chilometri di strada per raggiungere Monteprandone. L’essenziale, insomma, è che il prima possibile il Deltaplano sia completato e possa aprire le sue porte a orde di turisti affamati.
Vista da Pian Grande. A sinistra Castelluccio, a destra il cantiere del deltaplano. Foto di Attilio Gagliardi, giugno 2018
Quale sia il ricatto che ha soggiogato Castelluccio è l’imprenditore Tonino Conti a chiarirlo, ancora in una notizia dell’Ansa. “Per ricostruire il paese – dice il ristoratore all’agenzia – serviranno anni e senza la costruzione del deltaplano noi saremmo costretti ad andarcene per sempre. Se Castelluccio rinascerà lo farà proprio grazie a questo centro”. E ancora: “Quando il deltaplano sarà terminato, speriamo quanto prima, potremmo accogliere i visitatori in una struttura bellissima e soprattutto sicura. Quindi nessuno ci metta il bastone tra le ruote, abbiamo sofferto fin troppo”.
Chiaro qual è il ricatto? Per un piatto di lenticchie, ovvero per la sopravvivenza dinanzi al proprio inascoltato diritto a rinascere il più presto possibile, Castelluccio si ritrova costretta ad accettare un’opera che compromette il suo tesoro e sì va bene tutto, purché si riprenda a lavorare. E qui ha ancora ragione Loredana Lipperini quando sul suo blog rispetto alle strategie in campo in Umbria, ammesso che sia lecito definirle tali, si domanda: “Ma il modello, appunto, quale sarebbe? Quello di fare cassa. E fai cassa oggi, fai cassa domani, alla fine rischi di far sparire l’oggetto che ti permette di incassare. Perché oggi il Deltaplano, domani il trenino a cremagliera, dopodomani i parcheggi, l’oggetto del desiderio cambia, e cambia irreversibilmente”.
Castelluccio di Norcia, dentro la zona rossa. Foto di Attilio Gagliardi, giugno 2018
Sì perché proprio qui il passato insegna, rispetto agli insediamenti del doposisma, che nulla resta temporaneo. Sono forse temporanei i palazzacci dei Progetti Case a L’Aquila, a quasi dieci anni dal sisma? E’ temporaneo l’enorme villaggio che ospitò l’intera San Giuliano di Puglia dopo il terremoto del 31 ottobre 2002? E si può dire temporanea, infine, la vergogna di Bucaletto, il quartiere nella periferia di Potenza dove dal 1982, vivono ancora centinaia di sfollati del terremoto del 23 novembre 1980? Si è scelto di richiamare questi esempi a dimostrazione della fondatezza dell’esposto presentato dal Wwf di Perugia sul deltaplano, pardon ecomostro, di Castelluccio. Non è un grimaldello giuridico quello sostenuto nell’esposto nelle mani della Procura di Spoleto. E’ una domanda necessaria, invece, quella che giunge dal Wwf: una garanzia sullo smantellamento del Deltaplano alla fine della ricostruzione. Una garanzia finora mai giunta. E il ragionevole dubbio è che il solo modello di sviluppo del territorio immaginato coincide con il turismo predatorio: mangia, compra, calpesta la fioritura e scappa.
Castelluccio di Norcia, ottobre 2017. Foto di Michele Vittori
I conti che non tornano e la posta in gioco
Ingiusto e inaccettabile è che a venti mesi mesi dalla botta grossa del 30 ottobre 2016, le strade di Castelluccio di Norcia trabocchino ancora di macerie. Ingiusto e inaccettabile è che ad oggi nessuna delle casette, le cosiddette Sae (Soluzioni abitative di emergenza) destinate ai castellucciani, sia stata ancora realizzata e consegnata. Ingiusto e inaccettabile è che per mesi e mesi Castelluccio sia stata off limits agli stessi castellucciani costretti non solo altrove ma anche a mettere in stand by il proprio lavoro. Ingiusto e inaccettabile è offrire come unica soluzione per la sacrosanta ripresa delle attività economiche quell’ecomostro chiamato Deltaplano. Ingiusto e inaccettabile è pensare di poter stoccare le macerie nel Parco. E ingiusto e inaccettabile infine, ma si potrebbe continuare, è che i doveri di tutela dello stesso Parco vengano inopportunamente invocati per bloccare il cantiere di una strada che, non ci stancheremo di ripeterlo, è invece di vitale importanza. Anzi. C’è di più che, a 20 mesi dalla botta grossa, è inverosimile non sia stata ancora ripristinata.
Castelsantangelo sul Nera, ottobre 2017. Foto di Michele Vittori
Già perché se da una parte c’è Castelluccio dall’altra nelle Marche c’è il fantasma di Castelsantangelo sul Nera, triturata e fatta a pezzi dal terremoto e che, al pari della più nota Castelluccio, ha il diritto di rinascere. Un diritto negato dall’evidente mancata presa in carico da parte della politica e delle istituzioni, fin dalla prima scossa del 24 agosto 2016 dei destini dei paesi, dei territori e delle comunità ferite dal terremoto. Ora non riaprire quella strada, interrogandosi come fa il Parco dei Sibillini in un diniego che non è solo incongruente ma surreale rispetto alle precedenti scelte sul Deltaplano e dintorni, significa isolare e condannare all’abbandono la già agonizzante Castelsantangelo sul Nera e chiudere una via d’accesso pure all’ecomostro, pardon Deltaplano, che a Castelluccio si va costruendo. Cui prodest?
Vallinfante di Castelsantangelo sul Nera, ottobre 2017. Foto di Michele Vittori
“Non è accettabile un comportamento del genere di fronte a un dramma epocale come il terremoto” è la replica di Mauro Falcucci, sindaco di Castelsantangelo. Un borgo che, insieme con le sue frazioni, continuerebbe a essere raggiungibile soltanto dalla vicina Visso, anch’essa in ginocchio e vittima dell’isolamento determinato dal mancato ripristino della strada per l’Umbria. Ecco perché c’è qualcosa che non torna. A che serve? A nascondere ancora le tonnellate di macerie che non sono state rimosse da Castelsantangelo? A malcelare l’evidenza di quel disegno lampante in ragione del quale non si vuole più ricostruire buona parte delle Italie ferite dal terremoto? Qualcuno, presto o tardi, verrà a parlarci di assenza di sostenibilità economica nell’altrimenti colossale opera di ricostruzione dei borghi uccisi dal sisma. La sola risposta possibile a costoro, alfieri della strategia dell’abbandono, è che è ancora più insostenibile l’idea di lasciar morire il cuore fragile del Paese aggiungendo rovine su rovine lungo quello che diventerebbe il cammino nell’Italia che fu, da una contemporanea Pompei all’altra. E stavolta non ci sarebbero “No selfie. Luogo di rispetto” che tengano a placare la bulimia dei turisti dell’orrore.
Come un appendice (a pubblicazione avvenuta di questo articolo registriamo la nuova posizione del Parco di seguito pubblicata)
4 luglio, ore 15 circa. Il dietrofront del Parco dei Sibillini annunciato urbi et orbi su Facebook
Riportiamo testualmente il comunicato stampa, diffuso dal Parco dei Sibillini anche sulla propria pagina ufficiale sul social network Facebook
“Ente Parco: sulla SP 136 collaborativi come sempre
Accordo su cantiere e campo base in aree meno sensibili
Si è tenuta ieri pomeriggio, a Castelsantangelo sul Nera, una riunione operativa che ha individuato una soluzione condivisa tra Ente Parco, ANAS, Protezione Civile, Provincia di Macerata e Comune di Castelsantangelo sul Nera per l’avvio dei lavori di ripristino della strada provinciale SP 136 “Pian Perduto” che collega Castelsantangelo, e dunque la provincia di Macerata, a Castelluccio di Norcia. Tutti gli intervenuti hanno dovuto riconoscere che il Parco ha sempre avuto un atteggiamento estremamente collaborativo ed ha risposto in tempi celerissimi e che, dunque, eventuali ritardi nell’avvio dei lavori non sono e non possono essere ad esso ascrivibili.
“Le nostre non sono decisioni dettate da pregiudizi” ci tiene a precisare il presidente del Parco, Oliviero Olivieri. “Chi afferma che prendiamo le nostre decisioni per dispetto, se ne assume le responsabilità. Conosciamo bene l’importanza ed il valore strategico dei lavori di ripristino della SP 136. Siamo abituati a studiare le carte e a cercare soluzioni. Ed è quello che abbiamo fatto anche in questo caso, tra l’altro tenendo sempre aggiornato il Sindaco di Castelsantangelo sugli sviluppi della vicenda e collaborando fattivamente, come dimostra l’incontro di ieri pomeriggio convocato proprio per individuare insieme alternative realistiche. Per questo stupisce l’aver appreso dalla stampa nei giorni scorsi dichiarazioni volte a screditare pretestuosamente l’ente che rappresento. Il Parco” prosegue Olivieri “ha approvato nel luglio 2017 un progetto dell’ANAS che prevedeva la realizzazione del cantiere lungo la strada senza occupazione di altri spazi. Successivamente è arrivata una richiesta per un nuovo cantiere e per un campo base con 19 containers localizzati in zona 1 del parco a Spina di Gualdo, non solo dormitori ma anche uffici e refettorio. Il Parco non ha dato alcun diniego alla richiesta, ma ha risposto evidenziando la diversità con il progetto iniziale e segnalato che la localizzazione era situata in area sensibile poiché ricadente in zona 1 “area interna” in cui prevalente è l’interesse di protezione ambientale di cui al DM 03/02/1990 che stabilisce la perimetrazione del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Inoltre, relativamente alla tempistica, poiché s’imputano troppo spesso al Parco ritardi nelle valutazioni, segnaliamo che i progetti e le varianti per il ripristino della strada in oggetto sono stati valutati in tempi strettissimi una volta presentati in sede di conferenza dei servizi. In ogni caso” conclude Olivieri “possiamo dire che, grazie alla intelligenza e alla buona volontà di tutti gli intervenuti, si è deciso di situare il cantiere e il campo base in zona 2, un’area meno sensibile in cui è consentito allocare container per un periodo temporaneo”. Quello che servirà appunto a rendere possibile i lavori per il ripristino della strada SP 136”.
A mo’ di post scriptum, i dubbi e le domande che restano
Nel prendere atto della marcia indietro del Parco dei Sibillini, attraverso le dichiarazioni sopra riportate del suo presidente Oliviero Olivieri, riteniamo più in generale che la gravità della vicenda resti tutta in piedi oltre il caso stesso della Sp 136 Pian Perduto. C’è qualcosa che non torna, ribadiamo. A cominciare dalla vacillante credibilità di un ente che nulla ha avuto da eccepire invece sullo scempio del deltaplano o, peggio, sull’area di stoccaggio delle macerie ai piedi di Castelluccio. E a farci cambiare idea non riesce nemmeno il dietrofront del Parco dei Sibillini che annuncia l’individuazione di una soluzione alternativa per poter assicurare il ripristino della viabilità della Sp 136. Perché, e su questo nessuno intende scaricare responsabilità che non gli competono sul Parco, sia ben chiaro, non è tollerabile che a quasi due anni dal terremoto quella strada non sia stata ancora riaperta. E non è l’unica.
Da leggere
Sul deltaplano, Loredana Lipperini
Sulla strategia dell’abbandono, Leonardo Animali
Così il terremoto ha ridato linfa alla strategia dell’abbandono/ Leonardo Animali
Sulle aree interne, Simone Vecchioni
L’autore. Antonio Di Giacomo, giornalista. E’ nato a Bari dove vive e lavora per il quotidiano la Repubblica. E’ l’ideatore e il curatore del progetto Lo stato delle cose. Geografie e storie del doposisma.
Il progetto “Lo stato delle cose” è interamente autofinanziato e reso possibile dalla spontanea partecipazione di fotografi e autori nonché dalla collaborazione e dal supporto, non economico, degli enti locali, istituzioni, associazioni e società che ne hanno condiviso gli intenti documentari.
Per informazioni e contatti con Lo stato delle cose scrivere qui: osservatoriolostatodellecose
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