di Antonio Di Giacomo
Oltre le montagne di macerie. Oltre la geografia dei non luoghi. Oltre la giungla dei cantieri. E’ questa l’ambizione del progetto di fotografia sociale e documentaria Lo stato delle cose. Geografie e storie del doposisma: restituire, a sette anni dal terremoto del 2009, una narrazione che si auspica quanto più onesta e plurale dell’Aquila e dei suoi territori.
Per lungo tempo, in effetti, questa città ferita a morte si può ben dire sia stata letteralmente invasa da fotografi provenienti da ogni dove. In principio furono i reporter che, già poche ore dopo il disastro del 6 aprile, erano al lavoro per documentare una tragedia della quale ancora non erano chiare le proporzioni.
Fotografavano la cronaca, fotografavano la storia. Testimoniavano a futura memoria gli effetti di quello che, ad oggi, in termini di sacrificio di vite umane, 309 i morti, e non solo è stato il più grave e lacerante sisma che ha colpito l’Italia al suo ingresso nel terzo millennio. Un evento che non solo ha ucciso ma – facendo a pezzi le case, le architetture pubbliche e il patrimonio dei beni culturali diffusi sul territorio – ha frantumato e disgregato l’identità di una comunità rimasta orfana dei luoghi fondanti del proprio vivere quotidiano.
Così il fotogiornalismo per anni ha documentato prima la tragedia, dunque la macchina dell’emergenza, infine le modificazioni urbanistiche dei territori, a cominciare dai nuovi insediamenti abitativi temporanei con il loro labirinto di sigle, l’Aquila e i Comuni del Cratere sismico hanno catalizzato l’attenzione, ad ogni livello, della fotografia italiana contemporanea.
A L’Aquila tornerà così un protagonista di oltre mezzo secolo di storia della fotografia di reportage come Gianni Berengo Gardin, per raccontare la città in un impietoso ma opportuno raffronto fra il prima e il doposisma, raccolto nel volume L’Aquila prima e dopo (Contrasto). Mentre un maestro della fotografia documentaria quale è Massimo Mastrorillo spenderà, fino al 2015, sei anni della sua ricerca fotografica proprio a L’Aquila, fino a concludere questa sua esperienza nel libro Aliqual (Skinnerbox).
Nel mezzo, ma soprattutto durante la prima stagione del doposisma, giungeranno a L’Aquila decine e decine, centinaia anzi, di fotografi ognuno in cerca di una storia da raccontare. Non solo. Si registrano anche esperienze di narrazione collettiva, come SisMyCity o, ancora, Confotografia, che sperimenta in maniera sistematica l’interazione con la cittadinanza aquilana. Ma tant’è. E’ ragionevolmente forse impossibile riuscire ad avere totale contezza di come e quanto la fotografia abbia scandagliato, se non talora “vivisezionato”, il territorio aquilano.
Che senso ha allora tornare a fotografare L’Aquila? E’ fra le domande e obiezioni che mi sono state poste, quando ho immaginato lo Stato delle cose. E ancora: non è stato già fotografato tutto? Anche troppo probabilmente, fatto salvo che viene da chiedersi cosa sia rimasto, e dove, di questo fotografare. Ma se questa è un’altra storia non lo è affatto, invece, la circostanza che sia l’attenzione mediatica, in prima istanza, dunque quella della fotografia, si è andata vieppiù affievolendo fino se non a dimenticare a distogliere lo sguardo dalle sorti della comunità aquilana e dei suoi territori.
Mi è parso, allora, fosse invece ancora più urgente e necessario raccontare L’Aquila proprio oggi, esplorandone le geografie e le storie in un momento in cui le vicende di questa città, o di paesi dimenticati o quasi, rappresentano sempre meno un motivo di interesse oltre i confini territoriali.
Non sarà purtroppo il progetto Lo stato delle cose a far sì che, per esempio, sia pigiato l’acceleratore sulla ricostruzione. Eppure – oltre la retorica delle macerie, con la loro eloquenza tragica, oltre gli stereotipi di paesaggi urbani rappresentati in ragione del loro facile ma drammatico apparire come non luoghi e oltre la dimensione di città cantiere – la fotografia può e deve raccontare L’Aquila oggi. E stavolta è la fotografia che deve dare qualcosa a L’Aquila, mettendosi al suo servizio e senza chiedere nulla in cambio.
Il progetto “Lo stato delle cose” è interamente autofinanziato e reso possibile dalla spontanea partecipazione di fotografi e autori nonché dalla collaborazione e dal supporto, non economico, degli enti locali, istituzioni, associazioni e società che ne hanno condiviso gli intenti documentari.
Per informazioni e contatti con Lo stato delle cose scrivere qui: osservatoriolostatodellecose
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