A undici anni dal terremoto che il 6 aprile 2009 ha distrutto L’Aquila che è una città che si identifica con il proprio rilevante e diffuso patrimonio culturale, qual è lo stato di ricostruzione di palazzi, chiese e monumenti?
Nel centro storico del capoluogo d’Abruzzo circa il 70% degli edifici è vincolato: questo, al di là dei dati, lo si percepisce anche solo passeggiando tra le vie dove i palazzi storici – dai cui portoni si svelano i cortili rinascimentali con i pozzi in pietra bianca – tornano faticosamente a nuova vita. Ricostruire L’Aquila vuol dire, dunque, ricostruire la città, la sua storia, la sua identità. In quest’officina en plein air tuttora viene compiuto un grande lavoro di restauro, che ha come obiettivo quello di coniugare la sicurezza con la conservazione e la tutela. Resta però ancora molto da fare: le incompiute più evidenti sono il Duomo di San Massimo e la Chiesa di Santa Maria Paganica ancora tristemente al palo, ma tante altre chiese, il Teatro comunale o il Forte spagnolo arrancano nella fine dei lavori, tra mille difficoltà nell’iter della ricostruzione e una cronica carenza di personale negli uffici territoriali. C’è poi il patrimonio culturale definito “minore”, quello dei borghi intorno al capoluogo, quello più a rischio di oblio. Anche qui, dove sono rinati solo alcuni dei tanti gioielli diffusi, risaltano casi di incredibile abbandono. Colpisce inoltre il disinteresse italiano per l’enorme lascito dell’esperienza L’Aquila, un laboratorio a cielo aperto di ricostruzione di un patrimonio culturale che non viene studiato e messo a sistema per le altre emergenze. E ogni volta, dopo un terremoto, si ricomincia daccapo.
Il lavoro fatto
Per comprendere quanto è stato fatto finora occorre fare un excursus dai primi restauri eseguiti nell’immediato dopo sisma fino ad oggi. La vera ricostruzione è cominciata solo nel 2012. Prima di tale data le macerie erano ancora dentro i palazzi. Un lavoro enorme e prezioso è stato fatto, con oltre 25 monumenti restaurati e un patrimonio pubblico e privato di pregio artistico e monumentale diffuso che sta tornando a nuova vita. Oltre duemila beni immobili e circa 700 edifici vincolati: di questi 476 sono all’Aquila e nelle 60 frazioni; 200 si trovano nei 56 borghi del cosiddetto cratere sismico, un territorio corrispondente a un quarto della Regione Abruzzo, segnato dolorosamente dal sisma del 2009.
I soggetti della ricostruzione. In questi undici anni nel campo della ricostruzione di L’Aquila e del suo territorio hanno interagito diversi soggetti, con varie responsabilità: le amministrazioni comunali per i piani di ricostruzione e gli interventi pubblici strutturali; due uffici speciali per la ricostruzione, quello dell’Aquila (Usra) e quello del cratere (Usrc); le strutture territoriali del Mibact: il Segretariato regionale e la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti, Paesaggio per L’Aquila e i Comuni del cratere; e poi il Provveditorato delle Opere Pubbliche, ad esempio per la ricostruzione delle Chiese di San Bernardino e di San Domenico.
Le donazioni. Un grande impulso iniziale lo hanno dato le donazioni, che hanno finanziato in tutto 21 interventi per 28 milioni 268.307. Tutto nacque con il G8 del 2009, originariamente progettato a La Maddalena e poi, dopo il terremoto, trasferito a L’Aquila. Berlusconi pensò di proporre agli Stati esteri la famosa “lista di nozze” di monumenti da adottare. C’è da dire che molti Stati non hanno mantenuto la parola data in quella sede e che alcune adozioni straniere sono arrivate negli anni successivi, slegate da quell’evento internazionale. I maggiori contributi sono arrivati dalla Russia per Palazzo Ardinghelli (7 milioni 200 mila euro) e per la Chiesa di San Gregorio Magno a San Gregorio (1 milione 800 mila euro), dalla Francia per la Chiesa di Santa Maria del Suffragio detta delle Anime Sante (3 milioni 250 mila euro), dalla Germania per la Chiesa di San Pietro apostolo ad Onna (3 milioni di euro), dal Kazakistan per l’Oratorio di San Giuseppe dei Minimi (1 milione 700 mila euro).
Sono poi numerose le donazioni arrivate da istituzioni, enti, fondazioni, associazioni: Camera dei deputati per il Palazzetto dei Nobili; Fondo ambiente italiano per la Fontana delle 99 Cannelle; Fondazione Carispaq per Madonna Fore, Porta Napoli e il soffitto di San Bernardino; Lions Club per Porta Castello; Associazione Soroptimist per il Conventino di San Giuliano; la trasmissione Porta a Porta per la Sala Rossa del Teatro comunale; Federazione nazionale Cavalieri del Lavoro per la Chiesa di Santa Maria di Farfa; Associazione nazionale alpini per la Fontana Luminosa; i proventi del cd Domani per la Chiesa Teatro San Filippo; Guardia di Finanza per il Mammut; Regione Liguria per il Santuario di Santa Maria della Croce a Roio; varie altre realtà e privati.
La ricostruzione di L’Aquila è cominciata dal patrimonio culturale. I primi segnali della rinascita lo hanno dato i restauri dei palazzi vincolati e dei monumenti, soprattutto nel cosiddetto asse centrale del centro storico (corrispondente al Corso) dal quale è cominciata la maggior parte della ricostruzione. Nel 2010, tra le macerie che ancora saranno presenti a lungo in città, ci fu un vago segnale di una primissima ripresa, non certo ancora di una rinascita. Grazie al restauro finanziato dal Fondo ambiente italiano (Fai), tornò a sgorgare l’acqua dai mascheroni della Fontana delle 99 Cannelle, uno dei simboli della città. “E fu una musica per le orecchie” ha ricordato più volte il “sindaco del terremoto”, Massimo Cialente. L’anno successivo sono state riconsegnate la chiesa di San Clemente a Casauria e il Convento di San Giuliano. Nel 2012 la Madonna Fore, Porta Napoli, Palazzetto dei Nobili. Nel 2013 la Chiesa di San Giuseppe dei Minimi e l’anno seguente quelle di Santa Maria di Farfa e del Cristo Re. Nel 2015 finiscono i lavori nel Convento di Sant’Amico e torna a splendere un altro simbolo aquilano, la Basilica di San Bernardino, con lo splendido soffitto ligneo; viene inaugurata, nel nuovo spazio dell’ex Mattatoio, la nuova sede del MuNDA (il Museo Nazionale D’Abruzzo che adesso è tra i sette nuovi Musei autonomi introdotti dalla riorganizzazione del Ministero) che ospita alcune delle opere traslate dal Forte spagnolo, gravemente danneggiato dal sisma ed ancora cantiere. Nel 2016 la frazione di Onna torna ad avere la Chiesa di San Pietro apostolo e nel centro del capoluogo viene inaugurata la Fontana Luminosa. Nel 2017 viene riconsegnata la Basilica di Santa Maria Collemaggio, simbolo aquilano e sede, ogni anno da oltre 700 anni, della Perdonanza celestiniana – “primo Giubileo della storia” per la concessione dell’indulgenza plenaria – da pochi giorni riconosciuta dall’Unesco come Patrimonio Immateriale dell’Umanità. “La Basilica è stata restaurata in meno di due anni, un caso di eccellenza – sottolinea l’architetto Alessandra Vittorini, aquilana di nascita che è tornata nella sua città nel 2012 da Soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici per l’Abruzzo. “L’abbiamo terminata in tempi record anche in vista del riconoscimento Unesco della Perdonanza” ci tiene a dire l’architetto con la passione di chi ama il proprio mestiere e di chi conosce palmo a palmo la città.
Nel 2018 viene inaugurata – dopo un certosino restauro in parte finanziato e seguito con interesse dalla Francia – la Chiesa di Santa Maria del Suffragio, detta delle Anime Sante, la cui cupola crollò nel 2009 durante una drammatica diretta televisiva. Nel 2019 sono terminati i restauri delle chiese di Santa Maria del Soccorso e di San Silvestro.
Nel corso degli anni c’è stato poi il restauro delle opere traslate da chiese e monumenti dopo il terremoto, dai crocifissi alle pale d’altare. E vi sono stati, nei vari cantieri, rinvenimenti di affreschi o antiche strutture, il cosiddetto “patrimonio ritrovato”, stratificato nel tempo delle tante ricostruzioni della città dopo i terremoti. I più famosi e devastanti quello del 1461 e quello del 1703.
Quello che resta al palo
Lo stato dell’arte mostra, dunque, che finora è stato fatto un grande lavoro ma che ancora molto altro resta da fare. Di 247 interventi inseriti nei finanziamenti Cipe, il consuntivo del decennale dice che 112 lavori sono terminati, 19 in corso e 116 ancora non avviati.
Il Duomo di San Massimo e la Chiesa di Santa Maria Paganica sono gli esempi più eclatanti, anche per la loro grandezza e per gli ingenti danni, di edifici ecclesiastici rimasti ancora all’anno zero. Nel primo caso in dieci anni non si è provveduto neppure alla copertura della cupola e del soffitto, crollati con il terremoto, con il risultato che ai danni del sisma vanno aggiunti quelli di un decennio di intemperie e quelli dei terremoti avvenuti in Italia centrale tra 2016 e 2017 in territori molto vicini. Per la Chiesa di Santa Maria Paganica – a vederla sembra esplosa – si è provveduto ad una parziale copertura, comunque non adeguata a sostenere i dieci anni trascorsi.
“Eppure i due edifici, in capo alla Diocesi, erano stati inseriti tra i primi interventi del dopo sisma. C’erano i primi fondi. La Diocesi aveva fatto fare i progetti” spiega il Segretariato regionale dei Beni culturali. Nel 2015, quando ancora non si muoveva nulla, la legge 125 consenti al Segretariato di acquisire i progetti realizzati da altri. Quello del Duomo aveva però delle lacune – erano anche trascorsi anni dal 2009 e “lo stato delle cose” non poteva essere lo stesso – così la Soprintendenza chiese delle integrazioni. Ora, dopo dieci lunghi anni, a che punto siamo? Il progetto finalmente è stato approvato dalla Soprintendenza: ora bisognerà fare tutte le verifiche, prima di procedere all’avvio delle procedure di gara.
Come è possibile che dal 2009 non sia stata effettuata una copertura sul Duomo? “Non so rispondere”, afferma laconico il Direttore del Segretariato regionale del Mibact Stefano D’Amico, l’ispettore che è arrivato a L’Aquila nel 2017 e che tuttora si divide tra il lavoro a Roma e l’incarico da commissario nel capoluogo abruzzese, due volte a settimana.
Su Santa Maria Paganica ora si sta verificando la progettazione preesistente. La situazione qui appare talmente ferma – potrebbero essere cresciuti alberi dentro la chiesa – che negli anni si è diffusa la percezione che non ci sia la volontà di ricostruirla. Idea che la Soprintendente Alessandra Vittorini, almeno dal canto suo, smentisce.
Se Duomo e Santa Maria Paganica sono gli esempi più eclatanti, ci sono purtroppo altri gravi ritardi. Per la Chiesa di Santa Giusta si sono chiusi da tempo i lavori sull’abside. Il cantiere attualmente è fermo, si stanno chiudendo questioni amministrative riguardanti il secondo lotto di lavori e si sta lavorando alla richiesta di finanziamento del terzo, quello di completamento. Qui, dopo il sisma dell’Italia centrale del 2016-2017, è stato effettuato anche un intervento urgente per la messa in sicurezza della facciata che aveva risentito delle scosse. Fermo per verificare la nomina dei nuovi responsabili, dopo vari pensionamenti, il cantiere di San Flaviano. Qui il secondo lotto di lavori è in chiusura, con un finanziamento di 2 milioni, e in questo caso, a differenza di altri, il terzo lotto ha già il finanziamento di 1,5 milioni della delibera CIPE 112.
Si sta procedendo per la gara del II lotto di lavori per la Chiesa di Santa Margherita, meglio nota come Chiesa dei Gesuiti. Mancano solo alcune finiture nella chiesa di San Pietro e si sta aspettando l’approvazione per la rimodulazione di fondi in economia. I lavori di Sant’Agostino, nella fase iniziale, dovrebbero ripartire tra non molto. I lavori per la Chiesa di San Marco, per la quale si è avuto solo un intervento urgente per la messa in sicurezza dopo il sisma del 2016-2017, saranno finanziati nella prossima programmazione.
Come si intuisce, dopo undici anni c’è ancora un faticoso lavoro a singhiozzo: spesso i cantieri si fermano per mesi, in attesa di lunghi iter, adempimenti burocratici e del finanziamento per ripartire con i lotti successivi.
Poi ci sono i restauri che procedono ma che sembrano infiniti. Nel Teatro comunale i lavori sono cominciati nel 2015 e sono tuttora in corso. Il cronoprogramma iniziale (fine lavori 2017) è ampiamente superato e la tempistica più ottimista prevede ancora 2-3 anni di lavori. In realtà la storia del recupero del teatro è stata piuttosto travagliata: c’è stato un primo stop dei lavori quando è fallita la ditta che aveva fatto il primo lotto, il restauro della cosiddetta “Sala Rossa”. La seconda tegola quando nel 2017 vi fu l’inchiesta della Procura di L’Aquila su un presunto giro di tangenti su beni culturali ed ecclesiastici che ha poi portato a 26 rinvii a giudizio nei confronti di imprenditori e funzionari dei beni culturali e della soprintendenza. Il teatro comunale era uno dei cantieri “nel mirino”. Le intercettazioni rivelarono, a detta del giudice, “accordi corruttivi tra le ditte e i funzionari” consapevoli delle carenze tecniche in merito all’appalto nella sua fase iniziale. Mancavano, secondo le carte, la relazione geologica e la verifica sismica. Queste gravi accuse emerse con l’inchiesta hanno portato a rivedere daccapo le procedure per colmare le carenze in questa importante struttura. Gravi accadimenti, individuati per tempo dalle indagini della Procura, che rischiavano di macchiare un lavoro enorme, quello nel complesso fatto a L’Aquila, che come obiettivo ha proprio quello di coniugare sicurezza, conservazione e tutela. “Nonostante le difficoltà oggettive – spiega l’architetto del Mibact Augusto Ciciotti , direttore dei lavori – i Beni culturali hanno garantito continuità per questo intervento e con quello che è accaduto poteva andare peggio. È vero, in corso d’opera sono state necessarie delle integrazioni rispetto al progetto iniziale e lavorazioni ulteriori dal punto di vista del consolidamento murario. È stato poi redatto e presentato al Genio civile il progetto di miglioramento sismico, con una relazione” aggiunge il direttore dei lavori. Si sta procedendo con i collaudi dell’ultimo lotto di lavori effettuato con la progettazione dell’ultima tranche di lavori, relativi agli impianti, alla pavimentazione, alla scenotecnica e agli arredi.
L’impianto del teatro tornerà alle origini ottocentesche, con i miglioramenti sismici che le tecniche consentono. Nel corso dei lavori è stato ritrovato un sipario ottocentesco, dipinto tra il 1815 e il 1820 per il Teatro Olimpico, l’antico teatro che si trovava all’interno del complesso di Sant’Agostino che a metà Ottocento fu demolito. È stata inoltre scavata una sala ipogea che dovrebbe essere usata per le prove e altre attività. I restauri hanno portato alla luce particolari inaspettati: nel foyer, ad esempio, sono riemersi l’antico pavimento e intonaci graffiti ottocenteschi sulla volta che nel passato erano stati occultati. “E’ un cantiere di grande complessità per l’impiantistica, il movimento delle scene, del sipario, la sicurezza antincendio” dice il Direttore del Segretariato regionale Stefano D’Amico a proposito dei “ritardi”.
Ormai ultimato il barocco Palazzo Ardinghelli, che si trova proprio di fronte alla sventrata Chiesa Santa Maria Paganica. L’inaugurazione è slittata diverse volte, l’ultima perché si era nel pieno della pandemia di Covid-19. Le chiavi sono state consegnate al Maxxi, che in questo prestigioso palazzo storico in autunno aprirà la sede aquilana del museo, come annunciò nel 2015 l’allora e l’attuale Ministro della Cultura Dario Franceschini.
Anche il restauro della barocca Chiesa Teatro San Filippo è in dirittura d’arrivo. Si stanno seguendo gli allacci delle utenze e l’acquisto degli arredi. La ricostruzione è stata possibile grazie ad una donazione di oltre un milione di euro della Sugar Music di Caterina Caselli e di Macu Edizioni di Mauro Pagani, raccolti con le vendite del cd Domani, la famosa canzone corale incisa nel 2009 da oltre 50 artisti della musica italiana. Prima del sisma il Teatro San Filippo, nato come oratorio dei padri Filippini, era la sede del Teatro L’Uovo, che ora non esiste più. Quale sarà la destinazione d’uso? Sembra lo abbia chiesto anche Caterina Caselli, avendo a cuore che dopo il restauro torni ad essere un luogo vissuto.
Infiniti poi i lavori in un cantiere importantissimo, del quale si parla poco, il Forte spagnolo: è monumento nazionale, importante anche per la storia della città. Ma è anche la sede del famoso Mammut (Mammuthus meriodionalis vestinus), uno dei rari esemplari completi, ritrovato vicino a L’Aquila. Pur restaurato dopo il sisma, si trova tuttora all’interno del castello, cantiere dove è ancora impossibile accedere. “E’ un lavoro grande e importante, purtroppo c’è un grave problema ai pilastri del cortile”, spiega sinteticamente l’architetto D’Amico. È concluso il primo lotto di lavori riguardante la facciata di questa immensa fortezza. È in corso il secondo, suddiviso a sua volta in tre stralci. Attualmente si lavora sul primo di essi, riguardante il fronte di ingresso. I lavori, fermi durante l’emergenza Covid, sono ripresi.
Da 11 anni c’è un borgo senza più chiese: il caso di San Demetrio
C’è poi il cosiddetto “patrimonio minore” dei borghi, un patrimonio che è ovviamente più a rischio di abbandono rispetto a quello del capoluogo, sul quale dal 2009 sono, più o meno, accesi i riflettori. Restano ancora da finire di ristrutturare le preziose chiese di Santa Giusta a Bazzano – dove deve essere avviato l’ultimo lotto di lavori – e di Sant’Eusanio Forconese. Tuttavia alcune buone notizie nei borghi del cratere, non mancano: solo a citare le ultime restituzioni, tra aprile e giugno 2019 sono state riconsegnate la chiesa di Santa Maria ad Cryptas a Fossa, un gioiello bizantino interamente affrescato all’interno e l’Abbazia di Santa Lucia a Rocca di Cambio. E’ stata inaugurata a Navelli la Chiesa di Santa Maria in Cerulis, sorta sui resti di un tempio romano dedicato a Cerere. Sempre a Navelli sono sette le strutture sacre recuperate. Eppure ci sono storie di inconcepibile abbandono. A una manciata di chilometri da L’Aquila c’è un paese, San Demetrio Ne’ Vestini, caratteristico per il suo essere costituito da sette “ville”: una di queste è Stiffe, famosa per le sue grotte carsiche. San Demetrio non conta neanche duemila abitanti ma ha 13 chiese, testimonianza di una tradizionale devozione degli abitanti. Alcune di queste sono molto antiche: San Giovanni Battista ad esempio, viene citata in una bolla di Papa Alessandro III ed è stata edificata nel 1178. Ebbene, questo borgo è senza chiese da dieci lunghi anni: in nessuna è cominciato un minimo accenno di ricostruzione. L’interno della piccola Chiesa della Santissima Annunziata, del 1500, nella villa di Cardabello da dieci anni è addirittura ricoperto di guano di piccioni perché non si è provveduto a una copertura del tetto lesionato.
Andiamo a vedere chiesa per chiesa. La Parrocchia di San Demetrio all’ingresso del paese, è stata edificata nel 1600 ma ha al suo interno epigrafi e frammenti di epoca romana. Ci sono poi elementi di un antico luogo di culto che si pensa sia stato eretto ai tempi di Carlo Magno. C’è un organo settecentesco all’interno, all’esterno due meridiane. A seguito del terremoto del 2009 la chiesa ha avuto danni nei pilastri dell’aula, in misura minore nella facciata, nelle volte e nelle pareti laterali.
C’è poi la Chiesa Santa Maria dei Raccomandati, voluta così maestosa dai Marchesi Cappelli, che fu costruita nel 1820 in forme tardo-barocche e ricostruita nel 1854. C’è un affresco cinquecentesco della Vergine e fino al sisma del 2009 ospitava quattro dipinti di Teofilo Patini, rimossi e conservati altrove. La chiesa è gravemente danneggiata: i danni maggiori hanno interessato la facciata e le volte della navata centrale e dell’abside, le pareti laterali. Penosa, come si accennava, la situazione della Chiesa della Santissima Annunziata, del 1499, per il guano e per le infiltrazioni dal tetto che compromettono il recupero dei materiali e dei dipinti interni. “L’incuria di dieci lunghi anni di immobilismo totale – denuncia il Comitato San Demetrio Futuro – ha determinato tale situazione di degrado che poteva essere evitata se fossero state tempestivamente chiuse le vetrate rotte, dalle quali sono entrati i piccioni sempre più numerosi negli anni, e se ci fosse stato un intervento immediato sulle lesioni del tetto, inizialmente di entità limitata”. Nella Villa Collarano è la Chiesa di Sant’Antonio, da sempre significativo luogo di culto per la profonda devozione popolare al Santo; nonostante sia inagibile da dieci anni, i residenti hanno rinnovato ogni anno dal 2009 ad oggi, nell’adiacente piazzetta le tradizioni della distribuzione del pane benedetto nel mese di giugno e del rito del fuoco di Sant’Antonio il 17 gennaio. C’è poi la Chiesa di Sant’Andrea di Stiffe, che ha origini antiche anche se poi ricostruita dopo il sisma del 1703.
Qui la situazione delle chiese “è incresciosa” a detta dello stesso segretario regionale Mibact Stefano D’Amico che insieme all’architetto Augusto Ciciotti nei mesi scorsi ha effettuato un sopralluogo con la comunità locale, rappresentata dal Comitato San Demetrio Futuro che è stato costituito nel marzo 2019 proprio per denunciare la situazione di grave abbandono degli edifici ecclesiastici. “Mi scuso per la situazione ma è l’eredità che ho avuto” afferma D’Amico. Il Comitato negli incontri aveva richiesto al Segretariato la possibilità di intervento, almeno iniziale, per tre chiese: la parrocchia di San Demetrio, la Madonna dei Raccomandati e l’Annunziata. “Mi rendo conto che è solo una piccola cosa ma è stato avviato l’iter per la Madonna dei Raccomandati”. A luglio è stato nominato il RUP per la progettazione dell’intervento nella figura dell’architetto Marcello Marchetti. L’architetto Ciciotti aggiunge che è stata presentata anche la proposta di finanziamento per altre tre chiese del paesino: l’Annunziata, la parrocchia di San Demetrio e la chiesa di San Giovanni.
“A livello di amministrazione comunale, non mi risulta che da San Demetrio nessuno sia andato alla Soprintendenza a segnalare lo stato delle chiese del paese. Il problema – racconta Giuseppina Riocci, tra i fondatori del Comitato – è stato sollevato dopo quasi 10 anni da noi . Eppure una chiesa non è solo luogo di fede ma di storia, di arte e di cultura. È un luogo identitario. Eppure neanche la Diocesi sembra interessata”. Il Comitato afferma infatti di aver chiesto un incontro al cardinale Giuseppe Petrocchi, arcivescovo metropolita di L’Aquila ma “non c’è stato verso di farci ricevere. Noi volevamo semplicemente segnalare questo caso”.
Le responsabilità sono diffuse: ad esempio tra il 2009 e il 2015 si sarebbe dovuto avanzare con la prima procedura che dava il boccino dei progetti alla Diocesi. Poi, con la legge 125/2015, la materia è potuta passare al Mibact. “A quel punto – precisa l’ingegnere Davide Porrelli, supporto tecnico del Comitato – tutti i progetti tenuti nei cassetti sono stati ripresi. Un po’ quello che è accaduto per il Duomo a L’Aquila. Bene che vada – stima Porrelli – una volta pronto il progetto preliminare per la sola Chiesa della Madonna dei Raccomandati, ci vorrà un anno per il progetto definitivo. Se c’è la copertura finanziaria e ad oggi non abbiamo certezze in tal senso. Il che vuol dire almeno tra i cinque e i sette anni, se tutto fila liscio, per vedere finita una sola chiesa”.
La situazione appare fortemente difforme ad altre realtà dei comuni del cratere in quanto difficilmente si trovano tali esempi di incuria, anche per numero e per gravità di edifici ecclesiastici in abbandono. “Forse questo paese non interessava a nessuno” commenta Porrelli. Intanto a San Demetrio le funzioni religiose si svolgono da 11 anni in un Modulo ecclesiastico provvisorio (MEP) sempre più piccolo e sciupato dal passare degli anni. Nel nome c’è già la beffa, visto che il “provvisorio” rischia di diventare definitivo. Senza storia, identità, memoria collettiva.
Criticità e ritardi
In occasione del decennale del terremoto Segretariato e Soprintendenza, tracciando un bilancio congiunto, avevano evidenziato le grandi difficoltà incontrate nel lavoro di questi anni: a partire dal nuovo codice degli appalti pubblici (decreto legislativo 50/2016) che ha reso obbligatorio il progetto esecutivo per l’appaltabilità dei lavori, procedura che ha aggravato i lavori degli uffici a corto di personale. Ci sono poi stati dubbi interpretativi sull’articolo 11, comma 11-bis della legge di conversione 125 del 2015, la legge che stabilì per le Chiese il passaggio come soggetto attuatore dalle Diocesi al Mibact. Altre criticità sono venute dalla legge regionale numero 8 del 04/03/2016 che prevede l’autorizzazione sismica rilasciata dagli Uffici regionali per le zone classificate 1 e 2 nella mappa del rischio sismico regionale. Un altro problema è stato il disallineamento che si è avuto negli anni tra le risorse stanziate dal Cipe e gli effettivi accrediti al Segretariato regionale, avvenuti a volte anche anni dopo. Ma il problema più grave è stata ed è tuttora la cronica carenza di organico nel Segretariato regionale e nella Soprintendenza, un problema che riguarda tutte le strutture territoriali Mibact ma che a L’Aquila si scontra con l’impresa titanica di ricostruzione di un capoluogo e del suo territorio. Una ricostruzione di beni culturali diffusi, come si è visto, che deve legare insieme i temi della sicurezza e quelli della tutela e conservazione. In queste strutture territoriali la cosiddetta “vecchia guardia” di architetti e tecnici è andata in pensione, non sostituita o integrata solo in misura marginale e comunque non adeguata alla mole di lavoro. “Siamo in tutto in venti. Tra 4-5 anni – fanno sapere dal Segretariato regionale – perderemo altro personale. Un solo architetto può fare il Rup (Responsabile Unico del Procedimento) e senza non si può procedere”.
“I soldi sono l’ultimo dei problemi. Non è questione di fondi a disposizione – ribadisce il Direttore del Segretariato regionale Stefano D’Amico – ma c’è una discrasia tra il numero di interventi previsti e il personale a disposizione. Il problema maggiore è la carenza di organico anche con ruolo di Rup (il Responsabile Unico del Procedimento). Per fare un esempio, il Segretariato ha un solo architetto e anche con i prestiti dalla Soprintendenza non si va molto lontano. Il grido d’allarme è stato lanciato più volte con pubblicazioni di circolari e note scritte da me ma anche dai predecessori. Mi auguro che al Ministero arrivi”.
Ma, chiediamo all’architetto D’Amico, sulla carenza di organico ha chiesto un incontro al ministro Franceschini? “No, con lui non ho avuto colloqui. Franceschini però ha dimostrato negli anni sempre una sensibilità per L’Aquila. Sono convinto che ci sarà la massima attenzione”. Tuttavia conclude D’Amico “bisogna fare una scelta di campo. L’Aquila è stata definita non emergenziale. Non giudico se sia una scelta giusta o sbagliata ma io devo applicare le norme. Quindi qui si applica una procedura ordinaria che vuol dire normalità, con il personale nel numero della normalità”.
Soprintendenza salva e Museo nazionale d’Abruzzo autonomo
Dal 2015 il Mibact avviando la riforma aveva scelto proprio L’Aquila – dove oltre all’ordinario c’era lo straordinario della ricostruzione – per sperimentare la prima “Soprintendenza unica” a livello nazionale, che ha assunto le competenze di tutela monumentale, paesaggistica, storico- artistica e archeologica, anche se con una situazione di grave carenza di organico (a L’Aquila sono assenti per esempio, archeologi e restauratori). La sperimentazione aveva scadenza a fine 2019: si era temuto che L’Aquila potesse perdere la Soprintendenza, per una sede unica in Abruzzo. In realtà il ministro Franceschini ha stabilito due direzioni stabili, L’Aquila-Teramo e Pescara-Chieti. Ma non è l’unica buona notizia per il capoluogo: tra i sette nuovi Musei autonomi italiani decisi da Franceschini c’è anche il Museo Nazionale d’Abruzzo, quello che fino al terremoto aveva sede nel Forte spagnolo e ora nella sede dell’ex Mattatoio – ovviamente solo con una piccola parte delle opere traslate dalla fortezza, restaurate.
Quale lascito? Una storia di occasioni mancate
L’Aquila oggi è una città sicura? Non ha dubbi la Soprintendente Alessandra Vittorini e la dimostrazione è che la città ha subito quattro stress test con terremoti forti a pochi chilometri di distanza: le scosse di Amatrice il 24 agosto 2016, quella di Norcia il 30 ottobre 2016, quella di Campotosto il 16 gennaio 2017 e l’ultima della Marsica il 7 novembre 2019. Nessun edificio ricostruito e restaurato ha subìto danni strutturali, non si è mossa una pietra. Gli unici danni si sono riscontrati in edifici non ancora ricostruiti. Ad esempio nel Duomo, dove nel 2016-2017 sono stati fatti degli interventi di messa in sicurezza.
Il bilancio di questi 11 anni, sottolinea l’architetto Vittorini, non può limitarsi solo ad una questione meramente numerica di “quanti cantieri avviati, quanti conclusi”. C’è un valore sociale della ricostruzione e c’è un valore scientifico di quello che è stato fatto che quasi mai vengono messi in risalto. Soprattutto sembra che l’Italia non li metta a frutto. Questa esperienza di L’Aquila dovrebbe andare al servizio della comunità scientifica internazionale e delle nuove e future emergenze che purtroppo verranno.
Invece in Italia ogni volta si ricomincia da zero, senza neanche dialogare con chi ci è già passato. È un’altra occasione mancata per un Paese dal territorio fragilissimo. “Ad esempio, dopo l’alluvione di Firenze, dalla tragedia – fa notare Vittorini – è nata la capitale del restauro. Dal devastante terremoto avvenuto a L’Aquila nel 1703 a quello sempre a L’Aquila nel 2009 non è mai esistito il caso di un centro storico, di un capoluogo e del suo territorio, messi alla prova di una ricostruzione totale di un patrimonio culturale. È la prima volta che in epoca contemporanea si affronta una situazione così impegnativa e imponente. L’unico precedente, nota l’architetto, potrebbe essere il sisma di Messina e Reggio Calabria del 1908. Ma in questo caso le città, rase al suolo, furono interamente ricostruite in chiave moderna. Non fu un caso di restauro conservativo. Nel 2016-2017 in Italia centrale ci sono stati altri disastrosi terremoti: nessuno – sottolinea l’architetto – è venuto qui a L’Aquila, un laboratorio a cielo aperto, a fare tesoro di quanto fatto. Possibile che in questo Paese non sia messa a sistema la divulgazione di questa esperienza unica di ricostruzione-restauro di un patrimonio culturale?”.
La Soprintendente tiene a citare l’esempio di Notre Dame a Parigi, un simbolo internazionale distrutto da un tanto rovinoso quanto (oggi) inconcepibile incendio che ha tenuto con il fiato sospeso tutto il mondo. Emmanuel Macron nell’immediato dichiarò: “In cinque anni la cattedrale rinascerà”. Ebbene, ricorda Vittorini, illustri esperti si sono subito affrettati a correggere il presidente indicando una più prudente stima di 10 anni, perché lo richiedono i tempi di una ricostruzione complessa. “E noi quante cose abbiamo fatto a L’Aquila in dieci anni?”, fa notare l’architetto. Lo stesso Macron, nel chiamare all’unità l’Europa di fronte alle catastrofi e alle emergenze, ha citato l’eccellenza italiana per la ricostruzione dopo i terremoti. Ma tutto sembra ogni volta cadere nel buco nero delle occasioni italiane mancate.
L’autrice. Enrica Di Battista, laureata in Lettere indirizzo Comunicazione, è giornalista professionista e lavora all’agenzia Ansa dal 2003. Per l’agenzia di stampa, per quanto riguarda il terremoto di L’Aquila, ha realizzato speciali e reportage sul post-terremoto e sullo stato (di non ricostruzione) delle scuole. Dagli inizi del 2020 ha fondato e cura il sito Abruzzo Travel and Food: itinerari, enogastronomia, storie dell’Appennino e delle terre del sisma.
La fotografa. Architetto e fotografa, Giulia Bottiani, si è laureata in Architettura al Politecnico di Milano. Inizia a fotografare durante gli studi universitari, maturando l’interesse verso la fotografia di architettura e del paesaggio antropizzato. Il percorso di studi focalizzato a sviluppare conoscenze tecniche legate alla progettazione le consente di poter dare una lettura particolare e specifica dell’architettura tramite la fotografia. Dopo la laurea ha conseguito in master in Fotografia e visual design alla Naba di Milano. Ha lavorato da Camera, Centro italiano per la fotografia a Torino, e ha all’attivo diverse pubblicazioni editoriali fra libri e riviste nel quadro del dibattito sull’architettura contemporanea.
Il progetto “Lo stato delle cose” è interamente autofinanziato e reso possibile dalla spontanea partecipazione di fotografi e autori nonché dalla collaborazione e dal supporto, non economico, degli enti locali, istituzioni, associazioni e società che ne hanno condiviso gli intenti documentari.
Per informazioni e contatti con Lo stato delle cose scrivere qui: osservatoriolostatodellecose
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