La prima cosa che noto arrivando a Spelonga è un grande arco con una decorazione floreale ormai secca. È quello che resta della “Festa Bella”, che si svolge ogni tre anni in onore dei 150 spelongani che partirono per le crociate e presero parte alla battaglia di Lepanto, tornando in paese con la bandiera della nave ammiraglia ottomana: il vessillo, messo in salvo in settembre dai vigili del fuoco, era custodito da secoli nella chiesa di Sant’Agata, ora inagibile. La scossa del 24 agosto ha interrotto le celebrazioni, ma è stato proprio grazie alla festa in corso che tanti ragazzi delle frazioni vicine, soprattutto di Pescara del Tronto e Capodacqua, si sono salvati. Spelonga, sita sul versante più solido della Valle del Tronto, è stata meno danneggiata e non ci sono state vittime. Nonostante la presenza di un’estesa zona rossa, tanti spelongani preferiscono stare il più possibile vicino o addirittura dentro le loro case o le loro attività.
Vengo invitato in una casa che a un primo sguardo sembra perfetta, ma entrando rivela danni evidenti in più punti. «Siamo abusivi in casa nostra», mi dice sconsolato il proprietario, mentre affacciato dal suo terrazzo osserva le ruspe e gli operai che lavorano per realizzare il nuovo insediamento di Sae (Soluzioni abitative di emergenza). Ottengo poi il permesso per entrare nella chiesa di Sant’Agata. La facciata è stata parzialmente demolita nella parte superiore e messa in sicurezza con una fitta impalcatura. Lasciata Spelonga, sulla strada che porta a Colle mi imbatto in un gregge che occupa tutta la carreggiata e mi fermo a parlare con i proprietari che mi confidano come, tra mille difficoltà, stiano portando avanti il loro lavoro di allevatori.
L’autore. Giancarlo Malandra è nato a Chieti nel 1968 e vive a Giulianova. Fotografo professionista impegnato per lavoro soprattutto nella fotografia di cerimonia, si dedica anche a progetti di ricerca personali, in maniera particolare documentando le tradizioni popolari della sua regione, l’Abruzzo, e non solo. Si è già confrontato con gli scenari del doposisma prima con il lavoro collettivo “3:32 i segni del terremoto” e successivamente con il reportage “La città negata” sulle conseguenze del sisma del 6 aprile 2009 a L’Aquila. I suoi reportage sono stati pubblicati, fra gli altri, da Touring Club Italiano, Witness Journal e Tesori d’Abruzzo.
Il progetto “Lo stato delle cose” è interamente autofinanziato e reso possibile dalla spontanea partecipazione di fotografi e autori nonché dalla collaborazione e dal supporto, non economico, degli enti locali, istituzioni, associazioni e società che ne hanno condiviso gli intenti documentari.
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