Il terremoto non ferma le tradizioni, il terremoto fa paura ma per una sera la parola d’ordine è festa e preghiera. Utopia per i nursini? Niente affatto da quanto visto nella serata del 9 dicembre, la serata più importante per il popolo della Valnerina, la notte nella quale le fiamme de “Li Fauni” illuminano il cielo e riscaldano i cuori di tutti coloro sono giunti a godere dei grandi fuochi di Norcia; il terremoto li ha privati della loro intimità casalinga ma le tradizioni in paesi di montagna sono più forti di eventi così devastanti. I faoni, o per meglio dire “Li Fauni”, rappresentano una delle manifestazioni sicuramente più caratteristiche di Norcia in un mix tra paganesimo e cristianità.
Il paese con la singolare forma a cuore è diviso da sette rioni, uno per ogni porta muraria e ogni rione con i propri rappresentanti è dedito alla ricerca di ginestre per alimentare i grandi fuochi. Di anno in anno la competitività è andata sempre ad aumentare in ogni singolo rione già dai primi preparativi: c’è gara tra chi carica di più il camion, tra chi fa il Faone più grande, tra chi riesce a creare il fuoco più bello o il banchetto più ricco. I grandi fuochi che si accendono la notte del 9 dicembre hanno due valenze, nel significato pagano c’è l’esorcizzazione dell’inverno ormai alle porte e il bruciare l’anno vecchio per arrivare carichi all’anno nuovo, le sfumature del credo antichissimo pagano sono date anche da come brucia lo stesso falò, in che modo viene alimentata la fiamma e come va a disgregarsi il “faone”.
Il cristianesimo vuole ricondurre le origini della festa al 1291, alla notte in cui la casa della Madonna, a Nazareth, venne portata in cielo dagli angeli, e trasportata sulle sponde dell’Adriatico, a Loreto, al sicuro dagli infedeli ottomani, che avevano occupato la Terra Santa. Per indicare il percorso vennero accesi enormi fuochi, che li guidarono dove il fervore religioso era più forte e in tutta la Valnerina si accesero questi segnali che facevano da veri e propri “apripista”; Cascia, Norcia, Monteleone, Borgo Cerreto e tutti i villaggi limitrofi della montagna in una notte divennero uniti secondo l’unico credo del 9 dicembre.
“Il 9 dicembre per noi di Norcia rappresenta una festa pre-natalizia veramente importante, mangiamo il primo maiale spolpato e il primo tartufo nero e quest’anno più degli anni passati dovevamo riunirci intorno ai nostri fuochi per esorcizzare questo 2016. I “fauni” andavano fatti – dichiara Paolo Millefiorini – e in un clima di paura e tristezza l’ardere del “falò” deve rappresentare il primo punto cardine del nostro futuro. Intorno al fuoco poi si sono uniti moltissimi volontari della Protezione Civile, i Vigili del Fuoco, il Soccorso Alpino e l’Esercito, insomma i nostri “faoni” dovevano essere ancora più grandi del solito per tutto il pubblico che li ha ammirati durante la fredda notte del 9 dicembre. La tradizione voleva che allo scoccare della mezzanotte tutte le campane della città suonassero a festa per quindici minuti, purtroppo questa è stata l’unica cosa che non abbiamo potuto fare per ovvi motivi ma le campane suoneranno ben presto, Norcia ne è sicura”.
L’atmosfera che si respirava intorno al fuoco non era un’atmosfera triste o rassegnata, tutt’altro il banchetto realizzato grazie alle aziende locali che hanno ridistribuito norcinerie varie è andato benissimo, dei grandi barbecue hanno scaldato gli animi prima dell’accensione del falò, polenta fatta in casa e l’immancabile vin-brulè per tutti coloro che si avvicinavano alla zona adibita al “faone” e poi balli, canti popolari con armonica, giochi e i ragazzi che per primi hanno voluto con le loro fiaccole accendere il grande fuoco: i giovani che nonostante tutto rimangono, innamorati della propria terra e che vogliono a tutti i costi una nuova Norcia che possa far risuonare le proprie campane non solo per quindici minuti ma per molto tempo ancora.
L’autore. Alessio Vissani è nato a Foligno nel 1981. Si è laureato in Scienze della Comunicazione nel 2007 per poi seguire un master a Roma presso il Centro Sperimentale di Fotografia Ansel Adams dove si è diplomato nel 2008. E’ fotografo professionista e giornalista.Si occupa di reportage sociali e ha partecipato a decine di mostre fotografiche con i propri progetti personali fra Lucca, Venezia, Roma, Senigallia, Perugia e Pistoia
Il progetto “Lo stato delle cose” è interamente autofinanziato e reso possibile dalla spontanea partecipazione di fotografi e autori nonché dalla collaborazione e dal supporto, non economico, degli enti locali, istituzioni, associazioni e società che ne hanno condiviso gli intenti documentari.
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