Con tutto quello che è successo, vi preoccupate di salvare due gatti, due cani rognosi?
Se lo sentono dire, i volontari animalisti. Lo vedono nello sguardo di alcune persone.
Ma soccorrere gli animali non significa togliere qualcosa a qualcuno: ad Amatrice, Accumoli, Pescara del Tronto, Arquata, ci sono tutte le organizzazioni preposte all’aiuto alle persone. Ci sono i Vigili del Fuoco, la Protezione Civile, la Croce Rossa.
Poi ci sono loro, che fanno quel che sanno fare: salvare gli animali.
«Anche per gli animali il terremoto è un dramma. Come gli umani muoiono, perdono i propri affetti, rimangono feriti, impauriti» dice l’Enpa.
Qualcuno può negarlo?
Chi ha animali in casa lo sa. Chi non ha animali può arrivarci comunque. Non è difficile. Basta guardare negli occhi una di queste bestiole che si aggirano fra le macerie, per capire al volo. Sono smarriti, immensamente tristi.
E poi i cani sono stati così preziosi, nel trovare le persone, che solo questo potrebbe bastare a tacitare ogni possibile critica.
Non è stato forse Leo, labrador di quattro anni in forze alla squadra cinofila della Polizia, a fiutare la piccola Giorgia, la bambina rimasta sotto le macerie per sedici ore a Pescara del Tronto?
Sono tanti i cani delle squadre di soccorso che hanno cercato, lavorando a fianco dei conducenti cinofili. Enpa sostiene anche loro: li visita per affaticamento muscolare, offre aerosol (fiutare tutta quella polvere da vicino intasa le vie respiratorie), fornisce stivaletti che poi però vengono bocciati perché non funzionano bene, medica zampe e musi che presentano escoriazioni per il gran salire e scendere dalle macerie cercando ovunque.
I volontari dell’Enpa al lavoro dopo il sisma del 24 agosto 2016. Foto di Flavio Di Properzio
Quanto a occuparsi di quelle che per qualcuno sono cose «superflue», superficiali, poco importanti, è illuminante un racconto che mi fa proprio Michele dell’Enpa: «Ti racconto un’esperienza personale. Ho seguito la guerra di Bosnia in tutte le sue fasi. Nell’agosto del ’93, da addetto dell’Ufficio stampa sul campo per la missione internazionale Mir Sada, vedevo molti volontari (francesi, soprattutto) por- tare scatoloni di rossetti. Da ventenne cretino pensavo: “Questi sono o scemi o pazzi: la gente rischia la vita, rischia una granata senza preavviso, non ha da mangiare e loro portano i rossetti per le donne?”. Appena a Prozor ho visto ragazzine e donnone mature col fazzoletto nero in testa fiondarsi su rossetti, ombretti, lucidalabbra e smalti per le unghie senza curarsi degli aiuti alimentari, ho capito: il rossetto restituiva un pezzo di normalità in tutto quel disastro. Evocava felicità».
Felicità, o almeno una parvenza di normalità.
E, per molti, casa. Un animale domestico è, appunto, domestico.
E il primo significato di domestico, dal vocabolario Garzanti, è: «Della casa, della famiglia».
Quelle case che spesso non ci sono più.
Leggendo la lista di beni richiesti nelle prime ore per gli sfollati del terremoto di ottobre mi colpisce una voce: «Si cercano ferri e gomitoli per le signore anziane ospitate negli alberghi sulla costa».
Ecco. È vero che ci sono sempre cose più importanti, il cibo, un tetto, una coperta, naturalmente il lavoro, ma anche ricominciare a vivere, e «divagarsi», come si dice da noi.
Occuparsi dei propri animali è anche questo. Ascolto l’intervista a un’anziana contadina del maceratese che tutte le mattine va al pollaio a dar da mangiare alle galline: «È quello che devo fare».
Questi gesti le danno un ritmo quotidiano, la riportano alla routine di sempre, sono tranquillizzanti, fanno passare la paura delle scosse. Accudire i propri animali, sfamarli e pulirli, significa anche prendersi cura di se stessi.
A Norcia, la tenda dell’Enpa piena di pappagallini e cani e gatti è un’attrazione. Una minuscola oasi di allegria in mezzo all’angoscia. Da lì vengono miagolii, cip cip, ci sono tartarughine, un via vai di gente che va a prendere petfood, cani che entrano ed escono.
È un posto dove fare una pausa piacevole anche per i soccorritori.
Ritrovamenti: i volontari dell’Enpa ad Amatrice dopo il 24 agosto 2016. Foto di Flavio Di Properzio
L’ambulanza Isotta, quando non è usata per curare gli animali, diventa una specie di confessionale. Le persone vanno lì a parlare con i volontari dell’Enpa anche per sfogarsi.
Racconti del tuo cane e del tuo gatto, entri in confidenza e vengono fuori altre cose.
Come per la signora che è venuta a prendere da mangiare per i suoi animali e si ferma a raccontare la sua storia: vive da agosto nelle campagne di Norcia in una vecchia cella frigorifera buttata in giardino. Là dentro sono in tre, tre generazioni di donne. Una nonna, lei e la figlia di dodici anni. Sono senza bagno. «Come, senza bagno?» chiede Manuela. «Come fate?»
Manuela si attiva subito: ha visto quando i Carabinieri hanno scaricato i bagni chimici piazzandoli in giro per i soccorritori e va a fare richiesta. «Chi è il responsabile dei bagni chimici? Ne serve immediatamente uno!»
Compila la richiesta, dà l’indirizzo, segue tutta la pratica.
«Capita che le persone si vergognino di chiedere, oppure vorrebbero ma non sanno a chi» racconta.
L’ambulanza Isotta, a volte, diventa anche camion da trasloco: «Alcune persone, che abbiamo accompagnato nelle case in zona rossa per recuperare gli animali, arrivavano con le borse e mentre eravamo dentro le riempivano di tutto quello che riuscivano a prendere. Foto del matrimonio, lenzuola, documenti, vestiti: noi cercavamo di accontentarli il più possibile. Li abbiamo aiutati a prendere animali e cose. Come fai a dire di no?»
Racconta Maria Rita: «Entriamo con l’ambulanza Isotta per le vie del paese. Dobbiamo recuperare le tartarughe e gli uccellini di una signora. La sua casa è inagibile. I Vigili del Fuoco tirano fuori gli animali, spengono tutti gli apparati elettronici ancora funzionanti e cedono alla richiesta di poter prendere velocemente qualche effetto personale: vestiti, le foto più care, un’agenda… In men che non si dica tre valigie sono piene di ricordi, di affetti, di necessità. Isotta porta in salvo animali e ricordi, accoglie parole piene di speranza e gratitudine».
Ricongiungimenti. Ad Amatrice dopo il 24 agosto 2016. Foto di Flavio Di Properzio
Cristian, uno dei volontari, parla di come ci si debba far forza di fronte al dolore delle persone, alla loro disperazione: «Siamo andati da una signora anziana per il gatto; la signora mi ha abbracciato, si è accasciata, è scoppiata a piangere: mi ha detto che per lei era tutto finito, la vita era finita. Io ho cercato di scherzare, di alleggerire, ho fatto delle battute. Su signora, non dica così! Vedrà che si sistema, che tutto ricomincia. Ma quando siamo scesi, con la collega, e siamo tornati in macchina, avevamo tutti e due i lucciconi agli occhi».
Tutti i volontari, parlando del lavoro sui luoghi del terremoto, hanno parole per le persone. Marinella: «Ho cercato di fare un po’ quello che c’era da fare, ciò che mi sentivo per far star bene le persone e i loro animali: ritrovandoli, riuscivamo a donare un po’ di felicità».
Cecilia, la tostissima guardiana dei viveri e delle scorte, avvezza alle scosse in quanto originaria del Cile, non dimentica le persone pur parlando degli animali: «Premetto che ho sempre pensato che in situazioni di emergenza l’emotività debba essere messa da parte e l’ho fatto. Però ritengo che la sensibilità debba essere parte integrante del servizio erogato. Queste due missioni a cui ho avuto il privilegio di partecipare le considero – a livello personale – una grande opportunità di crescita, e nel mio piccolo sono fiera di aver contribuito, se non a salvare una vita, almeno a migliorare le condizioni fisiche e psicologiche di animali in situazioni critiche (Mariolino mi è rimasto nel cuore: appena trovato ho sentito il bisogno di restituirgli la sua dignità, liberarlo dai soprusi subiti, curare le ferite fisiche e psicologiche inflitte dall’uomo).
«Poi, vedere persone che con vergogna dichiarata, con umiltà – a volte anche con prepotenza – e con la paura, sul volto, di perdere la loro dignità, venivano a chiedere aiuto per i loro animali, mi ha fatto scoprire “la parte umana” di me… Pur comportandomi d’acciaio, ho cercato di dare supporto, anche se per pochi minuti, a chi era a pezzi o aveva solo bisogno di far svanire le sue paure e tristezze. Dolore, bontà, dignità, dono, coraggio, sensibilità, giustizia e riconoscenza sono i valori e i sentimenti che ho trovato nell’interazione con il sociale. Emozioni forti le ho provate anche nel vedere che tante persone ci affidavano un pezzo della loro vita e storia: perché questo sono i loro animali, vita e storia.»
Ancora Cristian: «Ho vissuto Massa Martana, Aquila, Amatrice, Norcia, Cascia: tutte città diverse che dopo il sisma diventano tutte uguali come uguale è quella disperazione nei volti di bambini, uomini, donne e anziani del posto.
«Ho mangiato molte volte nelle mense insieme a loro; li chiamano terremotati ma sono persone.» (…)
(il testo qui riportato è un estratto dal libro “Vicini alla terra” che pubblichiamo dietro cortese concessione dell’autrice Silvia Ballestra e di Giunti editore)
L’autrice. Silvia Ballestra, marchigiana, vive e lavora a Milano. È autrice di romanzi, racconti, saggi e traduzioni pubblicati per i maggiori editori italiani. Fra i suoi libri, tradotti in varie lingue, il long seller Compleanno dell’iguana, Gli Orsi, Nina, I giorni della Rotonda, Amiche mie. Dal romanzo La guerra degli Antò è stato tratto l’omonimo film diretto da Riccardo Milani. Dopo aver vissuto per diciotto anni con il cane Ombra, ha preso con sé da qualche mese la gatta Linda.
Il libro.«Sono storie piccole ma danno conforto. Se c’è qualcuno che si occupa anche degli ultimi, mi dico, c’è speranza per tutti, per tutto»: dice così Silvia Ballestra del suo Vicini alla terra. Storia di animali e di uomini che non li dimenticano quando tutto trema (pp. 144, 12 euro), pubblicato da Giunti editore nel 2017 e disponibile anche in formato ebook. In queste pagine Silvia Ballestra compie un’impresa forte come l’urgenza con cui è nata nei giorni in cui la terra ha cominciato a tremare: raccontare un territorio ferito a partire dalle storie di salvataggio degli ultimi. I cani e gatti domestici recuperati nelle case distrutte, quelli selvatici e tutti gli animali che contribuiscono con la loro mite presenza a tenere in vita le nostre campagne, l’Appennino: mucche, cavalli, pecore, galline che non possono essere abbandonati mentre, attorno, tutto viene giù. Dal terremoto di agosto alle scosse di ottobre, l’Ente Nazionale Protezione Animali è stato sul campo accanto alle forze dell’ordine, con discrezione e dedizione. Veterinari e volontari sono arrivati in paesi crollati dove non era rimasto nessuno, solo creature vaganti o intrappolate. Animali smarriti, bisognosi di cure, sentinelle tristi di una terra sconvolta. Le loro storie semplici ma importanti si compongono in queste pagine come un reportage singolare, pieno di tristezza ma anche di stupore. Ci restituiscono l’immagine autentica di una terra che sembra quella cantata da San Francesco nel Cantico, battuta da “frate vento”, solcata da “sor’acqua”, coltivata “cum grande humilitate” e abitata da famiglie, anziani, allevatori che vivono in un rapporto silenzioso di cura e spesso di affetto con le creature animali. Una terra che va salvata e ricostruita senza dimenticarsi di nessuno dei suoi abitanti fieri e sfortunati. Quando lo sconforto sale e l’angoscia si stringe intorno al futuro, lo sguardo buono di un animale capace di affidarsi completamente ci ricorda che solo rimanendo uniti possiamo rialzarci, solo ripartendo dai più vicini alla terra riporteremo alla vita ciò che è stato distrutto. Tutti i diritti d’autore del libro saranno destinati, sotto forma di materiale didattico, alle scuole dei centri colpiti dal terremoto.
Il progetto “Lo stato delle cose” è interamente autofinanziato e reso possibile dalla spontanea partecipazione di fotografi e autori nonché dalla collaborazione e dal supporto, non economico, degli enti locali, istituzioni, associazioni e società che ne hanno condiviso gli intenti documentari.
Per informazioni e contatti con Lo stato delle cose scrivere qui: osservatoriolostatodellecose
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