Il tempo qui non è stato
che un pezzo di cartone,
un sobbalzo. La porta
si chiude per l’ultima volta.
Il fascio di forze domestiche
il genio del luogo
saluto ora con ringraziamento.
A tutto ciò che tace perfettamente
e che sempre qui dentro ha taciuto
a ciò che non appare
in questa casa vuota
e resta come in larga attesa.
A questo punto del mondo, alto sulla città vecchia
a questa cuccia di luce e conforto
in cui abbiamo amato meglio che potevamo
e dormito bene nella sua pace
e fatto tutte le cose umane
delle vite, al mio cuore
senza tristezza che tutto saluta
contento, come esercizio
di distaccamento, come grande
scuola del trasloco e del suo lasciare la presa.
Vi lascio, cose.
Il vostro mancarmi sia la melodia
che ora mi guida:
La schiena liberata dal peso
stia dritta in attesa
della più alta impresa.
Il bastarmi del poco e del niente che serve.
E il resto sia vuoto. Sia intesa
con tutto ciò che non pesa.
Ricordate questa poesia? E’ di Mariangela Gualtieri, si chiama Esercizio del trasloco. La postavo sul blog a fine dicembre 2014, straziata dall’abbandono della mia vecchia casa, quella dove avevo vissuto vent’anni, dove i figli bambini avevano gattonato e poi corso nel corridoio e poi si erano chiusi in camera a sentire musica, quella dove avevo scritto, amato, dove avevo bevuto spremuta d’arancia per un’influenza, dove avevo pianto, riso, sognato.
Separarsi dalla propria casa significa lasciare un pezzo della propria vita dietro di sé, dire addio, e ricominciare. Credo che accada, se non a tutti, a parecchi: almeno a quelli un po’ (tanto) sentimentali e fragili come io sono.
Ora, immaginate.
Lo chiedo a chi, con parole gentili o, altrove, più brusche, dice che non se ne può più di sentir raccontare queste storie, e che sarà mai, e non sei più trendy, e noi si vuole la bella sanguigna polemicona letteraria o femminista, il postarello vispo o graffiante. E basta, sono vivi questi terremotati, che sarà mai.
Che sarà mai, giusto. Pensa, tu che sbuffi, al non poter neanche dire addio alla tua casa. Non poter abbracciare piangendo il tuo compagno o compagna mentre chiudi per l’ultima volta la porta. Perché la porta non c’è più e la casa non c’è più e tu non hai avuto neanche il tempo di dirle addio, e quindi di chiudere un percorso, e se i percorsi non si chiudono il lutto rimane bruciante.
Pensa, anche, ai tuoi gatti, o cani. Quelli che quando torni la sera si strusciano sulle tue gambe sottintendendo “sei mia, cara, sei tornata, e, sì, fuori i croccantini”. Pensa ai gatti e cani dispersi nel terremoto: a loro Silvia Ballestra ha dedicato un gran bel libro che è appena uscito, Vicini alla terra. Pensa insomma a quel che fa parte della tua vita. O del tuo lavoro. Agli allevamenti di animali. Alle aziende. Pensa a quel che vuoi.
Immagina che tu non solo non abbia più nulla, ma che dai primi giorni di novembre tu sia altrove, al mare, in albergo, e che caspita fai in albergo al mare, la vacanza? E che vacanza, se non hai scelto e non volevi, e vorresti invece essere dove hai scelto di essere? Pensa alle promesse che ti fanno: dai dai, a dicembre i container, ad aprile le casette, e pensa invece che quelle casette, lo scopri, te le daranno a Natale 2017, se va bene, e che adesso stanno cercando un posto dove piazzarti di nuovo, perché la stagione comincia e qui insomma non puoi restare.
Pensa un po’ a questo, caro lettore o lettrice, e sopporta chi narra, perché finché ci saranno storie da raccontare, vanno raccontate. E’ l’unica cosa che possiamo fare.
L’autrice. Loredana Lipperini è una giornalista, scrittrice, conduttrice radiofonica, blogger. Ha diretto giovanissima l’agenzia di stampa Notizie Radicali ed è stata fra le prime voci di Radio Radicale. Dal 1979 conduce su RadioRai programmi culturali e, dal 2009, regolarmente Fahrenheit su Radio3. Ha collaborato con numerose testate giornalistiche (da Sipario a L’Espresso) e dal 1990 scrive sulle pagine culturali de La Repubblica. Ha scritto e condotto programmi per la televisione e dal 2004 ha un blog, Lipperatura, dove si occupa di tematiche editoriali, culturali e legate al mondo delle donne. E’ nella giuria di diversi premi letterari (Premio Scerbanenco, Premio Arte di parole, Premio Pozzale Luigi Russo). Dal 2014 è direttrice artistica del Festival letterario “Gita al faro” a Ventotene e dal 2015 de “I giorni della Merla” a Macerata. E’ nel gruppo di consulenti del Salone del Libro di Torino. Fra i suoi libri, la trilogia sulle donne uscita presso Feltrinelli (Ancora dalla parte delle bambine, Non è un paese per vecchie, Di mamma ce n’è più d’una), il pamphlet sul femminicidio scritto con Michela Murgia (L’ho uccisa perché l’amavo, Laterza), il saggio sui social network e quello sul lavoro scritto con Giovanni Arduino (Morti di fama, Corbaccio, Schiavi di un dio minore, Utet), il diario di viaggio marchigiano Questo trenino a molla che si chiama il cuore (Laterza). Con l’eteronimo di Lara Manni ha inoltre pubblicato tre romanzi gotici (Esbat, Feltrinelli, Sopdet, Tanit, Fazi) e diversi racconti. Ha inoltre firmato la prefazione a On writing di Stephen King e, sempre di King, ha curato la raccolta di racconti Il bazar dei brutti sogni). Insegna Letteratura fantastica alla Scuola Holden di Torino e alla Bottega Finzioni di Bologna.
Il progetto “Lo stato delle cose” è interamente autofinanziato e reso possibile dalla spontanea partecipazione di fotografi e autori nonché dalla collaborazione e dal supporto, non economico, degli enti locali, istituzioni, associazioni e società che ne hanno condiviso gli intenti documentari.
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