Gli andamenti demografici nei Comuni del cratere marchigiano a due anni dal sisma
Questo contributo costituisce il primo frutto del lavoro del gruppo di ricerca T3 per la strutturazione di un percorso di ricerca-azione promosso dalla rete Terre in Moto Marche nelle aree del cratere marchigiano. Il progetto, che nei prossimi periodi sarà allargato ad altri soggetti interessati a partecipare, muove dalla necessità di produrre conoscenza scientifica e situata delle dinamiche che stanno interessando il contesto del post-sisma con l’obiettivo di contribuire alla presa di consapevolezza della popolazione e al sostegno delle rivendicazioni che muovono dai territori. Il lavoro che si presenta in queste pagine ha lo scopo di cominciare a stimolare la riflessione su alcuni dei processi in atto nel cratere marchigiano, a partire dalle tendenze demografiche del periodo più recente.
Una contestualizzazione
La popolazione residente negli 83 Comuni[1] che compongono il cratere marchigiano è oggi composta da 341.907 individui[2] che occupano un territorio di 3.978kmq, pari al 42% della superficie regionale. Il 72% dei Comuni in cui risiede la popolazione conta meno di 3.000 abitanti ed è interessato da problematiche tipiche delle aree interne, nelle quali la marginalità geografica, l’invecchiamento della popolazione, la mancanza di ricambio generazionale e l’emigrazione della popolazione attiva – specie nelle sue componenti più giovani – hanno contribuito a tratteggiare un quadro di declino demografico che si è consolidato nel corso degli ultimi anni. Infatti, il fenomeno di assottigliamento della popolazione residente nell’area del cratere è antecedente agli eventi sismici. Se nel 2012 erano presenti ca. 353mila residenti, sparsi tra i (pochi) centri urbani, i molteplici borghi e le innumerevoli abitazioni che costellano il paesaggio rurale, al primo gennaio 2016 se ne contavano ca. 347mila. Un calo di oltre 6.000 unità che si spiega nell’intreccio tra tendenze demografiche e socio-economiche di portata nazionale, che hanno avuto effetti specifici sul livello locale.
La popolazione di questi contesti ha conosciuto un periodo di relativa stabilità a partire dagli anni Ottanta, momento nel quale gli influssi dello sviluppo manifatturiero e terziario hanno invertito la tendenza generale a imboccare quella celebre Strada per Roma di cui parlava Volponi con riferimento all’emigrazione dalle aree interne marchigiane. Tuttavia, l’area del cratere cela importanti differenze territoriali che non si percepiscono a livello aggregato. Mentre la popolazione complessiva è rimasta per lungo tempo sostanzialmente invariata, la sua mobilità interna è risultata piuttosto significativa, caratterizzata da una propensione a “scendere a valle” che nel tempo ha svuotato buona parte dei borghi più remoti. Sin dagli anni Cinquanta, infatti, i Comuni geograficamente più marginali (come Visso, Ussita, Fiastra, Sarnano e quasi tutto ciò che è sopra quota 700m) hanno perso costantemente popolazione, donandola dapprima ad altre Regioni italiane e straniere e successivamente alle vallate dell’Appennino interessate dallo sviluppo manifatturiero (dove la popolazione è invece tendenzialmente cresciuta dagli anni Settanta). Il declino demografico di alcuni Comuni del cratere si qualifica quindi come un dato strutturale che sembra protrarsi, con piccole oscillazioni degne di nota, da oltre mezzo secolo, generando un saldo negativo che in alcuni casi oltrepassa il -50% rispetto agli anni Cinquanta.
Nel contesto di ridistribuzione della popolazione sopra menzionato, nel quale i processi di urbanizzazione hanno sostanzialmente seguito l’organizzazione dei sistemi economici locali, si assiste a importanti trasformazioni degli andamenti e della struttura demografica. I Comuni che in profondità storica sono cresciuti maggiormente (come Fabriano, Tolentino, Matelica e Pollenza) lo hanno fatto grazie a ingenti flussi migratori, provenienti dalle aree montane limitrofe e dal Sud Italia. A tali flussi si sono aggiunte da qualche decennio le migrazioni internazionali. Nel complesso, è principalmente grazie all’immigrazione che alcuni dei principali Comuni del cratere sono cresciuti durante gli ultimi due decenni e, con il loro andamento, hanno permesso di mantenere stabile la quota di popolazione residente sul livello territoriale del cratere (sebbene oggi, in seguito alla crisi economica si registrano considerevoli flessioni demografiche anche in questi Comuni). Infatti, i saldi naturali (ovvero la differenza tra vivi e morti), come nella maggior parte del contesto nazionale, hanno progressivamente assunto un segno negativo, specie negli ultimi due decenni, divenendo molto meno rilevanti che in passato nello spiegare le tendenze della popolazione. Dunque, un aspetto centrale da tenere in considerazione nel contesto di cui parliamo è quello dell’immigrazione, altrimenti declinabile nel più ampio tema dell’attrattività del territorio da un punto di vista residenziale. Il che significa anche – e necessariamente – la presenza di un tessuto economico in grado di offrire posti di lavoro e/o la presenza di “vantaggi localizzativi” e servizi per i quali nuova popolazione venga ad abitare in queste zone.
La questione è chiaramente ampia e si lega a dibattiti di largo respiro sulle aree interne, sulle aree “fragili” e in generale sul contesto dell’Appennino. Tenendo a mente tali premesse, utili a inquadrare il territorio di riferimento, in questa sede cercheremo di focalizzare l’attenzione sulle dinamiche demografiche nel post-sisma basando alcune considerazioni su dati statistici provenienti dall’ISTAT[3], su dati prodotti in ambito di ricerche sociali mirate e su altre fonti di dati secondari di rilievo regionale[4]. Ci baseremo quindi su un approccio quantitativo, legato alla disponibilità di dati secondari, che come vedremo può dare conto di alcuni trend, ma nel caso specifico risulta soggetto a distorsioni che andremo a esplicitare.
Visso, 2017. Fotografia di Antonio Di Giacomo
Le recenti tendenze demografiche nel cratere marchigiano
Al 31 dicembre 2017 nell’area del cratere risiedevano circa 343mila persone, cioè il 22% della popolazione regionale. Come abbiamo già avuto modo di accennare il cratere si caratterizza per una struttura demografica in cui pesa particolarmente la presenza della popolazione anziana. In particolare, gli over 64 costituiscono il 26% dei residenti mentre a livello regionale sono circa il 24%. Si assiste quindi a una presenza considerevole di persone in età avanzata che necessitano di servizi specifici e che in una certa misura “gravano” sulla popolazione attiva più che in altri contesti limitrofi.
Sempre al 31 dicembre 2017 la popolazione straniera residente era di ca. 28mila unità, corrispondenti all’8% del totale. Il dato è in calo rispetto agli anni passati (nel 2013 gli stranieri erano il 9%) e risulta quasi sovrapponibile a quello regionale. Tuttavia, esso cela importanti differenze dal punto di vista delle nazionalità. Nelle aree del cratere, infatti, la presenza di stranieri provenienti dall’Europa è del 59% e supera di ben 6 punti percentuali la media dei Comuni marchigiani fuori dal cratere. In questo pesano principalmente due elementi connessi all’offerta lavorativa: a) la struttura economica locale, in cui si rileva un peso ancora considerevole del settore primario e della manifattura a basso grado di specializzazione; e b) l’incidenza degli anziani che necessitano di particolari mansioni di cura. Tali elementi sembrano aver attratto nel corso degli ultimi anni una popolazione straniera in larga misura proveniente dai paesi dell’Est Europa e tendenzialmente ripartita tra lavoratori in ambito agricolo, manifatturiero e lavori legati alla cura della persona.
Analizzando il trend demografico a partire dal 2012 emerge come fino al 2016 la popolazione del cratere sia calata di ca. lo 0,8% ogni anno, mentre nello stesso periodo all’interno delle aree posizionate fuori dal cratere e collocate nelle Province di Ascoli Piceno (AP), Fermo (FM) e Macerata (MC) questa sia rimasta sostanzialmente invariata. Il che significa che ogni anno, già prima del sisma, nel cratere si perdevano circa 750 residenti, l’equivalente di un Comune come Monte San Martino. Il dato si riferisce a una media e non coglie la variazione del fenomeno nel periodo considerato. Il calo demografico si è infatti intensificato negli anni più recenti, specie a ridosso del terremoto, quando tra il primo gennaio 2015 e il primo gennaio 2016 si evidenzia una perdita di ca. 3mila unità che non trova corrispondenze negli andamenti dei Comuni delle medesime Province collocati fuori dal cratere, dove si perdevano poco meno di 600 abitanti. Dunque, nel cratere, già prima del terremoto la flessione demografica era più marcata.
Con i danni strutturali legati agli eventi sismici, le modalità di gestione dell’emergenza e l’impantanamento della macchina della ricostruzione tali trend negativi sono aumentati. Tra il 2016 e il 2018, infatti, il calo medio della popolazione nel cratere è arrivato all’1,4% annuo, cioè circa 3.200 abitanti in meno ogni quattro stagioni. Se prima del sisma spariva la popolazione di un piccolo borgo nel post-sisma scompare ogni anno la popolazione di un Comune grande come Sarnano. Si tratta di un salto notevole, che tuttavia non si rapporta esclusivamente alle dinamiche del terremoto ma è il riflesso di andamenti più generali, in cui anche i Comuni fuori dal cratere nelle Province di AP, FM e MC perdono nel loro complesso abitanti, seppur a ritmi meno sostenuti (ca. lo 0,5% annuo). Siamo comunque su ordini di grandezze differenti in termini assoluti: tra 2016 e 2018 il calo nel cratere è stato di 6.500 unità, fuori di 1.100 (dove la popolazione complessiva è di 389 mila residenti, quindi di poco superiore a quella del cratere).
Osservando gli andamenti ponderati della popolazione, posto a 100 il dato del 2015, si evince un trend discendente molto più significativo nelle aree interne al cratere, con una linea di tendenza che accelera la discesa specie tra 2017 e 2018.
La dinamica di flessione non presenta variazioni significative tra le varie Province considerate e si esplica principalmente su due versanti: quello della divisione costa/interno e quello della dimensione comunale. Se infatti andiamo a vedere dove il calo si è rivelato più significativo è possibile scorgere come nei Comuni più interni e, in particolare, in quelli sotto i 3.000 abitanti sia avvenuta la perdita più evidente da un punto di vista relativo. Per quantificare il fenomeno basti pensare che in un Comune come Monte Cavallo, rispetto a due anni fa, oggi mancano all’appello 11 abitanti ogni 100 rispetto al 2016. Allo stesso modo a Castelsantangelo sul Nera ne mancano 8 su 100, a Ussita, Arquata del Tronto e Force 6 su 100, a Valfornace (Fiastra) e Fiuminata 5 su 100.
Il quadro degli andamenti non è però omogeneo tra dentro e fuori il cratere e nemmeno all’interno del cratere stesso. Dentro al cratere, in un contesto di generale flessione, ci sono Comuni in controtendenza che tra il 2016 e il 2018 sono cresciuti nel numero degli abitanti. Questo vale, ad esempio, per Montedinove (+2%), Colli del Tronto (+0,8%) e Belforte del Chienti (+1,4%). All’esterno del cratere, sempre nelle province di AP, FM e MC, c’è una tendenza alla flessione meno marcata e in molti Comuni nel medesimo periodo si assiste a una crescita nel numero degli abitanti. Tra questi troviamo Civitanova Marche (+0.9%), Montecosaro (+1,3%), Porto Recanati (+0,6%), Grottammare (+1%), Altidona (+1,8%), Lapedona (+2%) e Porto Sant’Elpidio (+1%). Tutti Comuni collocati sulla costa o nei suoi pressi. Una prima considerazione è quindi che nel post-sisma la costa cresce in termini di popolazione e l’interno perde abitanti, soprattutto nei Comuni più piccoli e remoti.
Il ruolo delle migrazioni interne
Questi dati generali sono il risultato di due fenomeni interconnessi: le migrazioni della popolazione residente e il bilancio naturale negativo. Ovvero, in un contesto nazionale dove il numero dei morti è superiore a quello dei nati l’immigrazione è un fattore decisivo nel controbilanciare il trend negativo, qualificandosi come un elemento imprescindibile nello spiegare gli andamenti demografici complessivi. Proviamo allora a guardare al fenomeno migratorio per capire come certe tendenze possano trovare una parte della loro spiegazione nei movimenti di popolazione.
Nel 2015 il saldo migratorio totale (ovvero il bilancio tra chi prende la residenza e chi la lascia) dentro al cratere era praticamente nullo, cioè il numero di chi arrivava era equivalente al numero di chi se ne andava. Il quadro rimane il medesimo nel 2016, ma muta drasticamente nel 2017, quando si registra un saldo migratorio del -0,2%. Il numero, apparentemente insignificante, mostra che in un anno si sono perse nel complesso 667 persone che non sono state rimpiazzate da nuovi arrivi. Un numero che si aggiunge ai morti non rimpiazzati da nuove nascite nella quantificazione del calo demografico. Le proiezioni per il 2018, all’interno del cratere, sembrano le medesime. Fuori dal cratere, invece, nelle Province di AP, FM e MC, il saldo migratorio è costantemente positivo e anzi si mostra in crescita. In questo contesto territoriale, se nel 2015 e nel 2016 il saldo era positivo di ca. 1.000 unità, nel 2017 lo è stato di oltre 2.000. Un raddoppio sostanziale nell’arco di un anno.
Già da questo si potrebbe ipotizzare uno spostamento delle residenze dal cratere a fuori di esso, indirizzato verso la costa, ma i dati statistici devono ancora dare bene conto del fenomeno. Per andare maggiormente nel dettaglio bisogna scavare nel saldo migratorio interno, ovvero nel bilancio tra gli spostamenti di residenza epurato dai fenomeni migratori internazionali, in entrata e in uscita. Il saldo migratorio interno ci mostra come nel complesso la negatività dell’area del cratere sia più che raddoppiata in 2 anni, passando da -656 nel 2015 a -1.462 nel 2017, con proiezioni sempre sopra le mille unità per il 2018. Questo salto può facilmente connettersi alle dinamiche del sisma, specie se si considera che il medesimo gap è di segno inverso nelle aree costiere delle tre Province considerate. Infatti, fuori dal cratere, si è passati da un bilancio positivo di 284 unità nel 2015 a un bilancio di +698 nel 2017. Si tratta di dati aggregati che non restituiscono puntualmente la situazione degli spostamenti di residenza ma anche in questo caso possono far percepire i processi in corso.
Guardando sempre al 2017 il bilancio della mobilità interna più negativo si è avuto dai comuni più remoti e più colpiti dal sisma. Ussita, ad esempio, con un bilancio migratorio interno che segna -2,7% nel 2017, si qualifica tra i peggiori, preceduta solo da Monte Vidon Corrado (-3,1%). Seguono Montefalcone Appennino (-2,4%), Montefortino (-2,1%), Monte Rinaldo (-1,9%), Sefro e Serrapetrona (-1,8%), Valfornace (-1,7%), Caldarola e Sant’Angelo in Pontano (-1,6%), Bolognola (-1,5%), Camerino (-1,3%). Tali dinamiche di fuoriuscita della popolazione sono state in un certo qual modo attenuate da un bilancio migratorio con l’estero che dentro il cratere è rimasto tendenzialmente stabile, mediamente attorno a un bilancio positivo di 700 unità tra 2015 e 2017. Il dato aggregato a livello di cratere, tuttavia, cela la ripartizione territoriale dell’immigrazione dall’estero che si concentra quasi esclusivamente nei centri maggiori o in quelli con la presenza di strutture universitarie. Se infatti escludiamo Fabriano, Macerata, Camerino e Ascoli Piceno il bilancio positivo con l’estero è di appena 257 unità. Dunque, sul livello di dettaglio, oltre all’uscita della popolazione italiana, si può riscontrare anche un generale calo di attrattività per l’immigrazione straniera nei Comuni di piccola dimensione colpiti dal sisma.
Visso, 2017. Fotografia di Antonio Di Giacomo
Lo scollamento tra realtà e dato statistico
Quanto descritto fino a questo momento si basa su dati aggiornati ad aprile 2018, in attesa dei dati al primo gennaio 2019 con i quali si potrebbero evidenziare tendenze ben più marcate di quelle illustrate in queste pagine. C’è inoltre una questione di fondo che necessita di essere chiarita e riguarda la rappresentatività del dato statistico, cioè il suo livello di aderenza alla realtà che intende fotografare. In questo caso siamo in presenza di evidenti distorsioni. La prima, legata al fatto che l’aggiornamento anagrafico ad opera dei comuni, specie se piccoli, è solitamente lento e farraginoso, legato anche a questioni di mantenimento dei servizi locali (dichiarare meno popolazione anagrafica o scolastica può comportare la chiusura di diversi servizi). Inoltre, molti soggetti, pur non vivendo più nelle aree del cratere, hanno mantenuto al suo interno la residenza, sperando, un giorno, di riportarvi la propria quotidianità.
Il dato statistico, quindi, non restituisce appieno la materialità della vicenda, fatta di numerose storie di “vita vista mare”, transumanze di 150km al giorno dalla costa all’interno e un ritorno auspicato nei paesi terremotati che si scontra con le lentezze della ricostruzione. Le famiglie terremotate spostate negli hotel sul lungomare e quelle che hanno affittato un’abitazione fuori dal cratere hanno in diverse occasioni ricostruito la propria vita lontano dalle cime appenniniche pur non avendo ancora ufficializzato all’anagrafe il loro spostamento. Una spinta allo spopolamento in qualche modo favorita anche da alcune politiche pubbliche, quali le acquisizioni di immobili per gli sfollati da parte dell’ERAP Marche. Su 654 offerte di vendita ammesse al primo bando la maggior parte delle abitazioni è localizzabile ai margini del cratere o all’esterno di esso[5].
I CAS e i danni del sisma
Che il fenomeno dello spopolamento sia potenzialmente più marcato di quanto emerge dai dati demografici si può intuire rapportando le statistiche sui Contributi di Autonoma Sistemazione (CAS) a quelle sulla popolazione. I dati sull’agibilità degli edifici sono ancora incerti e risultano aggregati a livello regionale. L’ultimo rapporto al parlamento del commissario uscente alla ricostruzione De Micheli parla di 42.265 edifici inagibili stimati nelle Marche, senza quantificare la quota degli edifici residenziali e senza scindere tra edifici e abitazioni (un edificio può avere al suo interno più abitazioni in cui risiedono più famiglie). Le statistiche sui CAS, invece, sono disponibili a livello comunale e possono, allo stato attuale, essere considerate il dato più affidabile per quantificare il numero di persone con casa inagibile. Inoltre, considerando la distribuzione dei CAS per famiglie è possibile stimare la quota di abitazioni che in un dato Comune non risultano più agibili.
Ad aprile 2018 gli assegnatari di CAS nel cratere erano ca. 53mila, corrispondenti a ca. 25mila famiglie. Addentrandoci in questi dati si nota che in certi comuni la quota di popolazione destinataria di CAS[6] e, dunque, con abitazione inagibile, è superiore al 30%. Da questo punto di vista Valfornace (46%), Montegallo (45%), Camerino (44%), Arquata del Tronto (42%), Pieve Torina (41%) e Muccia (39%), Gagliole (36%), Visso (36%) e Fiastra (33%) mostrano i valori più elevati. Nella maggior parte di questi comuni più di una persona su tre ha l’abitazione di residenza inagibile.
I dati paiono ancora più significativi se spostiamo l’attenzione dagli individui alle famiglie. I dati sulle famiglie assegnatarie di CAS sono infatti sovrapponibili al numero di abitazioni inagibili. Al mutare del dato considerato muta anche il quadro complessivo. Vediamo infatti che Camerino presenta il 62% delle famiglie assegnatarie di CAS, cioè più della metà delle famiglie si troverebbe al di fuori della propria abitazione di residenza[7]. Valfornace, Pievetorina e Muccia mostrano dati superiori al 40%, mentre Arquata del Tronto, Montegallo e Visso al di sopra del 35%. In un Comune come Camerino, dove vi sono ca 3mila famiglie e 1.929 di queste risultano sfollate, non vi è nemmeno una quota di abitazioni potenzialmente libere – al netto dei controlli sulla loro agibilità – che potrebbero ospitare gli sfollati. Qua, come in altri borghi, sarebbe irrealistico pensare che i 6.956 abitanti dichiarati sulla carta corrispondano effettivamente al numero di residenti che abitano nel Comune.
Le elaborazioni sui CAS, oltre che restituire un quadro potenzialmente più problematico di quanto evidenziano i singoli dati demografici, ci danno un’idea di quanto la popolazione residente sia “fuori casa” e di come il tessuto sociale di un dato territorio sia sottoposto a processi di smembramento, specie in considerazione del numero di mesi passati dagli eventi sismici.
Il cratere, e intorno: vulnerabilità sociale e culturale dei territori interni
Le dinamiche viste in queste pagine descrivono, dunque, un processo di spopolamento già in corso prima del terremoto, che quest’ultimo ha aumentato in intensità. Da questo riscontro, integrando i dati statistici con un approccio di analisi socio-antropologica, possiamo dire che il sisma è un “processo” che si sviluppa in un tempo circolare caratterizzato da un prima, un durante e un dopo. Il sisma del centro Italia può quindi essere interpretato sia come un insieme di “eventi critici” che hanno prodotto discontinuità e rottura nel continuum sociale; sia come un insieme variabile e multi-fattoriale di situazioni che fungono da “acceleratori” di tendenze già in atto. In questa seconda accezione l’evento impattante porta in risalto una serie di dinamiche trasformative già esistenti, modificandole, intensificandone gli effetti o variandone la direzione.
Se quanto detto si applica in particolar modo alle dinamiche che interessano i borghi minori e montani colpiti dal sisma sensibilmente diverso appare il percorso seguito da centri di dimensioni più significative nella fascia collinare marchigiana, in cui in passato si sono registrate dinamiche demografiche più stabili, ma dove negli ultimi anni, soprattutto per effetto della crisi, l’emigrazione sta tornando a essere un fenomeno di rilievo.
Pur con tutte le differenze del caso, il destino dei centri montani, più colpiti dal sisma, non appare slegato da quello delle zone circostanti, interne, ai margini o anche intorno ai confini del cratere. Potremmo con una metafora spaziale immaginare queste zone come una sorta di “muro di contenimento” capace di opporre una resistenza allo scivolamento verso valle – o la costa – di uomini, opportunità, mestieri, saperi e culture. Tuttavia anch’esse sono oggi interessate da un flusso in uscita che porta componenti significative della loro popolazione a spostarsi verso il mare o verso altre regioni, in Italia o all’estero. Contribuendo a impoverire, oltre alla “zona rossa” del sisma, anche i territori medio-collinari ad esso circostanti. Con un drenaggio di energie, risorse, opportunità lavorative e servizi che potrebbero invece agire da freno allo svuotarsi dei territori più interni. Vengono meno, in questo modo, punti di presidio del territorio, a ridosso e in prossimità delle zone montane, così che quest’ultimo risulta maggiormente esposto agli appetiti di breve periodo e di stampo spesso predatorio di interessi economici ad esso estranei. I contesti disastrati diventano così spazi fertili per il diffondersi di quella che Naomi Klein definisce economia dello shock, ossia di una gestione economica e politica dell’emergenza che diventa occasione di sfruttamento capitalistico del territorio distrutto, ma anche di innesto di modelli di sviluppo calati dall’alto.
È dunque necessario, sia per capire gli effetti del sisma sul tessuto sociale sia per elaborare risposte di ampio respiro, allargare lo sguardo alle dinamiche che stanno interessando l’intero territorio regionale e in particolare il complesso delle fasce interne. Chiaramente, se parliamo della fascia medio-collinare le motivazioni dell’emigrazione sono differenti. Non è tanto il terremoto, o l’inagibilità delle abitazioni, a spingere le persone a partire. Si tratta, piuttosto, di una miscela di motivazioni legate alla scarsità di opportunità lavorative e a motivazioni di ordine “culturale”.
Interessanti, a questo proposito, gli spunti forniti da una recente ricerca che ha preso in esame la situazione dei giovani dell’entroterra fabrianese e matelicese[8]: una quota significativa, pari al 38%, si dice propensa a trasferirsi, anche se non sempre in prospettiva stabile. Tra coloro che intendono partire, il 36% adduce motivazioni prevalentemente legate alle opportunità di lavoro e alle prospettive di carriera, ma ampie percentuali chiamano in causa altre ragioni: il 27% richiama la propria insoddisfazione verso la qualità delle relazioni, la mentalità, la presenza di stimoli, a cui si aggiunge un ulteriore 30% che non esprime alcun disagio rispetto al luogo, ma desidera semplicemente compiere un’esperienza di vita differente. E, in effetti, dalla stessa ricerca apprendiamo come la propensione a partire non risulti correlata solo all’insoddisfazione verso la propria situazione lavorativa: determinanti sono anche le valutazioni intorno alla qualità della vita, alla presenza di stimoli, alla vivacità culturale e all’apertura mentale delle persone.
Visso, 2017. Fotografia di Antonio Di Giacomo
La questione occupazionale, quindi, ha un peso specifico come spinta ad emigrare. Del resto l’intero territorio marchigiano è stato pesantemente colpito dagli effetti della crisi economica, anche in misura maggiore rispetto alle altre regioni del Centro e Nord Est con cui condivide importanti tratti del tessuto produttivo[9]. Le variabili economiche si sono però intrecciate ad altri fattori, che potremmo sintetizzare nel deterioramento della qualità della vita e nella vulnerabilità 1) sociale e 2) in senso lato culturale che ha contraddistinto queste zone già da prima del terremoto.
Per quanto riguarda l’aspetto della vulnerabilità sociale, si tratta di un processo che ha riguardato un po’ tutto il territorio marchigiano, tradizionalmente caratterizzato da una ricchezza del tessuto associativo e relazionale e da livelli di fiducia verso le istituzioni superiori rispetto alla media italiana. Un territorio, insomma, ricco di “capitale sociale”, inteso come dotazione di legami associativi ed informali, fiducia, norme di reciprocità: concetti forse meno “materiali” degli indicatori economici, ma non per questo meno gravidi di ricadute tangibili, come molte ricerche hanno messo in luce (per esempio sulla qualità della vita, sul senso di sicurezza, sulla coesione sociale e sul rendimento stesso delle istituzioni, in termini di produzione di politiche e di controllo dei fenomeni corruttivi).
Ora, il punto è che negli ultimi anni questo patrimonio immateriale sembra essersi pericolosamente sfilacciato. Gli indicatori di fiducia verso le istituzioni hanno registrato un brusco calo, come quelli relativi alla fiducia interpersonale. Se nel 2007 il 62% dei marchigiani riteneva che nella propria regione si vivesse meglio che nel resto d’Italia, nel 2016 questa percezione registra un calo di 14 punti percentuali (e tocca il punto più basso tra i più giovani)[10]. Mentre cresce l’insoddisfazione verso i servizi, soprattutto per quanto riguarda la sanità pubblica. Le Marche sembrano così perdere la loro specificità e adattarsi alla media nazionale, in alcuni casi addirittura sorpassandola in negativo. Non più “Italia di mezzo” ma “Italia media”, come sintetizzato nel titolo stesso del lavoro di cui riprendiamo questi dati.
Ma c’è, infine, un altro “flusso” che si sposta inesorabilmente verso la costa (o verso altre direzioni, anche al di là dei confini regionali e nazionali) e che attiene ad un problema di ordine culturale più ampio, che le aree interne del cratere marchigiano condividono con l’insieme delle terre alte appenniniche e alpine, ad eccezione forse di quelle loro porzioni interessate dalle rotte turistiche più frequentate o alla moda. Il fatto, cioè, che la montagna, insieme ai borghi minori della penisola, abbiano perso spazio e centralità nell’immaginario del Paese. Siano diventati periferici, oltre e più ancora che a livello geografico, su un piano innanzitutto culturale. Nel senso che sembrano avere perso un ruolo, nella direzione pur incerta in cui sta procedendo lo sviluppo del Paese. Rischiando di diventare il “discount della vita civile” (secondo la bella immagine di Franco Arminio), luogo di riproduzione sbiadita e scadente di uno spettacolo che si svolge, irrimediabilmente, altrove. Il che non ha nulla di scontato o “naturale”, anzi ha piuttosto qualcosa di paradossale, se visto nel susseguirsi degli eventi storici che hanno caratterizzato un paese come l’Italia. Ma lo spettacolo che sembra doversi svolgere necessariamente altrove è il futuro: come se rimanere nei borghi fosse una scelta residuale, inevitabilmente ai margini dei luoghi dove si costruisce davvero il futuro; una scelta intrinsecamente povera in termini di stimoli, significati, senso dell’agire. Che è, in fondo, quello che sembrano dirci i giovani intervistati nel fabrianese e nel matelicese, quando lamentano – e adducono come motivazione per andarsene – la limitatezza degli stimoli, degli incontri, della ricchezza di senso che la loro esistenza può assumere a seconda che si scelga di rimanere o andarsene.
Per questo, per ragionare su come invertire la rotta è necessario anche lavorare sul piano culturale. Dando spazio, rilevanza e visibilità a tutti gli attori, le esperienze, le pratiche che indicano prospettive di vita differenti, che contraddicano l’idea che esista una sola possibilità, ovvero l’esodo verso la città. C’è bisogno, anche e non secondariamente, di veicolare/supportare modelli capaci di dare concretezza e di disegnare progetti di vita possibili, interessanti e capaci di dare senso al futuro, in un paese dal futuro quanto mai incerto.
Visso, 2017. Fotografia di Antonio Di Giacomo
Quali prospettive?
L’influsso del sisma sullo spopolamento è ancora difficile da definire quantitativamente, con numeri precisi che riescano a fotografare la dimensione puntuale del fenomeno. Allo stato attuale, tuttavia, sulla scorta dei dati esposti in questa sede, degli articoli di stampa locale sulla drastica contrazione degli studenti nelle scuole[11] e delle numerose informazioni qualitative che emergono dai territori, sembra plausibile cominciare a parlare di un flusso in uscita dalle aree più interne e colpite del cratere, specie nel maceratese, dove nel giro di qualche anno il flusso migratorio verso la costa sarà plausibilmente più evidente, affievolendo sempre di più la quota di residenti nelle aree vallive e montane dell’entroterra.
Tuttavia, come abbiamo cercato di evidenziare in queste pagine, lo spopolamento è un fenomeno che non si concretizza a causa esclusiva di un disastro come il sisma, quale agente distruttivo di natura bio-fisica che colpisce una comunità umana, bensì risulta legato a una varietà di dinamiche in cui il sisma interviene, aggravando con i propri effetti uno stato di vulnerabilità sociale e territoriale pre-esistente. I trend demografici sono quindi il riflesso di diversi processi che con intensità e direzioni specifiche interessano il contesto del cratere marchigiano. Un’osservazione che, allo stato delle cose, porta a riflettere su quali siano gli scenari futuri che si prospettano per queste terre, non solo in termini di andamenti socio-economici, ma anche rispetto ai modelli di sviluppo che le vedranno coinvolte nel prossimo futuro.
La lezione che possiamo trarre dalla letteratura sui processi di trasformazione territoriale è che in un sistema di organizzazione capitalista il valore si crea in seguito al declino dei contesti locali, siano essi quartieri o regioni, poiché questo incrementa il loro margine di profittabilità. Su questa scia, sembrano moltiplicarsi le voci di imprenditori e parti politiche che oggi intendono “salvare l’Appennino” o “contribuire alla sua ripresa” proponendo modelli di sviluppo che spesso mancano di confronto con la popolazione locale, con i suoi bisogni specifici e con l’idea di futuro che gli abitanti hanno per questi territori.
Un esito differente può invece essere perseguito attraverso una strategia complessa e di ampio respiro che tenga conto, oltre che della necessità della ricostruzione, della creazione di opportunità lavorative e di prospettive di vita possibili, nell’ottica della cura e consapevolezza del territorio. C’è bisogno, inoltre, di una visione che riconosca il ruolo cruciale giocato dalla disponibilità e capillarità dei servizi. E che sappia infine tenere in conto l’importanza di altre variabili, soprattutto la percezione del rischio. Infatti, il grado di vulnerabilità totale di una comunità non deve essere considerato unicamente calcolando i fattori di rischio derivanti da una valutazione tecnica delle condizioni bio-fisiche e organizzative che potrebbero amplificare o mitigare l’impatto dell’agente distruttivo (rischio idro-geologico, sismico, vulcanico; stato degli edifici, presenza di piani di evacuazione, presenza o assenza di un efficace sistema di comunicazione e di allerta in situazioni d’emergenza, ecc). Va considerata anche la percezione del rischio della popolazione, ossia la valutazione sociale della rischiosità di un evento impattante. Rischio e percezione del rischio, infatti, possono non coincidere, generando degli effetti distruttivi maggiori o minori rispetto al grado di distruttività attesa in base al mero calcolo del rischio[12].
Da questi riscontri, ancor basati su una percezione diretta che necessita di essere integrata con un approccio scientifico, ci appare oggi necessario mettere a servizio di questi luoghi e degli attori sociali che li animano le nostre competenze di ricerca, quale impegno civico e sociale che possa contribuire alla presa di consapevolezza rispetto alle tendenze in atto, a mantenere alta l’attenzione sulle questioni e gli scenari del post-sisma e, speranzosamente, a contribuire attivamente nel delineare percorsi di sviluppo partecipati e condivisi dagli abitanti del cratere.
Note.
[1] Nel 2016 i Comuni erano 85. Sono scesi a 83 in seguito all’accorpamento del Comune di Acquacanina a quello di Fiastra e alla creazione del Comune di Valfornace in seguito alla fusione tra Fiordimonte e Pievebovigliana.
[2] Dato ISTAT aprile 2018.
[3] Aggiornati ad aprile 2018.
[4] Anch’essi riferiti ad aprile 2018.
[5] Si veda per approfondimenti: http://www.eddyburg.it/2017/07/edilizia-pubblica-ai-tempi-del-post.html
[6] I dati CAS considerati sono quelli riferiti ad aprile 2018 e disponibili presso il sito della Regione Marche.
[7] Il dato va comunque rapportato ad alcune distorsioni che tendono a controbilanciarsi. Da una parte, i beneficiari del CAS indagati dalla Guardia di Finanza perché accusati di non avere gli effettivi requisiti per la richiesta. Dall’altra, un numero potenzialmente maggiore di famiglie al di fuori della propria abitazione che tuttavia non compaiono nelle statistiche per non aver completato le procedure burocratiche necessarie all’assegnazione del CAS.
[8] Si tratta di un’indagine condotta su un campione di oltre 600 giovani tra 16 e 35 anni che vede alcuni membri di questo gruppo di ricerca direttamente coinvolti.
[9] Come sottolineato all’interno del Rapporto Marche +20. Sviluppo nuovo senza fratture, a cura di Pietro Alessandrini (2014), http://old.regione.marche.it/Portals/0/Sviluppo/Rapporto_marche20.pdf
[10] Ci riferiamo ai dati presentati nel volume a cura di Ilvo Diamanti, Fabio Bordignon e Luigi Ceccarini, Marche 2016. Dall’Italia di mezzo all’Italia media, Ancona, Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche, 2016.
[11] Si veda: https://www.avvenire.it/attualita/pagine/cos-il-terremoto-svuota-le-scuole
[12] Si consideri, per esempio, una situazione nella quale vi è un alto grado di percezione sociale del rischio presso una comunità colpita da un evento impattante ricorrente. La “familiarità” con l’agente impattante, l’alto livello di rischiosità bio-fisica o antropica, la percezione quotidiana della minaccia, la presenza di una memoria storica relativa alla vulnerabilità ambientale e/o sociale del territorio, possono far sì che il disastro divenga cognitivamente dominabile e che, di conseguenza, esista un maggior grado di interesse e mobilitazione delle istituzioni locali e della comunità nel mettere in campo possibili elementi di mitigazione del rischio. Al contrario, comunità che non hanno una chiara percezione del rischio o che, per svariati motivi, non prestano un elevato grado di attenzione nei confronti del potenziale pericolo, non riescono a dominare cognitivamente il possibile evento impattante.
T3 Research Group
Transdisciplinary Research Group on Territories in Transition
Ambiti di ricerca
Il territorio, come luogo di sedimentazione e al tempo stesso di trasformazione, è al centro dei nostri interessi di ricerca. Da punti di osservazione differenti ci proponiamo di indagare le dinamiche socio-economiche e la distribuzione delle vecchie e nuove dimensioni della disuguaglianza, i cambiamenti dell’organizzazione sociale e spaziale dei contesti, i mutamenti socio-demografici e i flussi migratori che vi si possono relazionare. Rispetto a quest’ultimo tema, ci interessa prendere in analisi entrambe le direzioni della mobilità, insieme alla sfera delle policies ad esse relative e agli effetti che possono avere sul livello locale.
Ci interessa lo studio dei disastri – il sisma, in primo luogo – attraverso l’analisi della ricostruzione fisica e sociale dei luoghi, della comunicazione pubblica e mediatica, dell’impatto sulle comunità locali anche a lungo termine – aspetto su cui ha particolare rilevanza il tema della memoria e del tempo collettivi – e delle misure e percorsi con cui i soggetti pensano, percepiscono e partecipano alla ricostruzione. Proprio la partecipazione e i suoi attori, inclusi quelli non istituzionalizzati, insieme alle questioni più ampie della rappresentanza e dello sviluppo locale completano il quadro dei principali ambiti di interesse del gruppo.
Approccio metodologico
Il gruppo T3 adotta un approccio trasversale alle discipline, riunendo ricercatori e ricercatrici con interessi e competenze che si radicano in campi del sapere convergenti come la sociologia, l’antropologia, la scienza politica e la geografia. La contaminazione tra discipline, anziché la semplice collaborazione tra di esse, rafforza le capacità di lettura della complessità sociale e del mutamento territoriale.
Le tematiche sono trattate con un orientamento metodologico che privilegia l’inchiesta sociale e la ricerca-azione nell’ottica di una interazione partecipata con i soggetti coinvolti. La dimensione partecipativa stimola il confronto e la collaborazione con gli attori sociali sia in termini orientativi (definizione dei temi e dei problemi) che in termini organizzativi (fase operativa della ricerca, coinvolgimento nelle pratiche). Il gruppo segue quindi un approccio che pone in primo piano il ruolo di advocacy del ricercatore, nella convinzione che la ricerca non possa avere un ruolo neutrale ma debba proporsi come strumento critico-interpretativo per comprendere la realtà e agire il cambiamento.
Obiettivi
Pensiamo che fare ricerca significhi produrre un sapere collettivo che trovi applicazione nella realtà. Sentiamo come urgente l’elaborazione di nuovi paradigmi e nuove modalità di relazione tra saperi diversi. Riteniamo che la/o scienziata/o sociale abbia sempre e comunque un vincolo verso i suoi interlocutori e non possa esimersi dal confrontarsi con realtà ad espressione variabile, mapparle e denilearle nelle loro criticità per il comune obiettivo di migliorare la loro comprensione.
Nel percorso di prassi-teoria-prassi che ci proponiamo di seguire la collaborazione tra scienziata/o sociale e interlocutori è volta alla produzione di un sapere che, partendo dall’osservazione delle esperienze, la rilevazione dei dati, l’analisi e l’interpretazione di essi, può offrire mezzi e strumenti per contribuire al miglioramento delle condizioni dei soggetti. Solo così, in un percorso comune, pensiamo sia possibile (ri)creare nuovi modi del fare ricerca che rispettino il senso alto dell’essere umano.
Componenti
Alba Angelucci è assegnista di ricerca in Sociologia generale presso l’Università di Urbino Carlo Bo e docente a contratto di Sociologia della Famiglia. Fa parte del Centro Interdipartimentale per la Ricerca Transculturale Applicata (CIRTA) dell’Università di Urbino. Ha un background in sociologia dell’ambiente e del territorio e i suoi interessi di ricerca si collocano all’incrocio fra la sociologia urbana, la sociologia delle migrazioni, gli studi di genere e le politiche sociali.
Nico Bazzoli è assegnista di ricerca in Sociologia dell’ambiente e del territorio presso l’Università di Urbino Carlo Bo. Ha un background di studi in geografia e un dottorato in sociologia. Si occupa di trasformazioni territoriali, sviluppo locale, valutazioni del costruito, conflitti sociali e analisi per la programmazione strategica e la pianificazione urbanistica.
Rosanna Castorina è assegnista di ricerca in Sociologia dell’ambiente e del territorio presso l’Università di Urbino Carlo Bo. Ha una formazione sociologica e filosofico-politica. Si occupa di teoria e politiche migratorie, cultural studies, socio-antropologia dei disastri, metodologia della ricerca sociale, studi etnografici della rete.
Elisa Lello è assegnista di ricerca in Scienza Politica e docente a contratto di Sociologia Politica presso l’Università di Urbino Carlo Bo. I suoi interessi di ricerca includono il rapporto tra territorio e politica, le trasformazioni dei partiti e dei movimenti sociali ed il dibattito intorno all’evoluzione delle democrazie occidentali. Negli ultimi anni si è occupata di mutamento generazionale, focalizzandosi in particolare sull’identità dei giovani e sul loro rapporto con la politica.
Silvia Pitzalis è assegnista di ricerca in Sociologia dell’ambiente e del territorio e Discipline demoetnoantropologiche presso l’Università di Urbino Carlo Bo. Antropologa di formazione, ha svolto ricerche inerenti lo studio dei disastri in Sri Lanka e nel terremoto emiliano del 2012. Si occupa inoltre di migrazioni forzate e del sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e dei titolari di protezione in Italia.
[…] Lo stato delle cose […]
Il progetto “Lo stato delle cose” è interamente autofinanziato e reso possibile dalla spontanea partecipazione di fotografi e autori nonché dalla collaborazione e dal supporto, non economico, degli enti locali, istituzioni, associazioni e società che ne hanno condiviso gli intenti documentari.
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