Un terremoto solleva polvere e parole.
La prima, a più di un anno di distanza, si è posata. In parte è stata rimossa, altra, tanta, rimane ancora laddove si è trovata a cadere dopo le infinite scosse iniziate (si fa per dire: da queste parti il terremoto non “inizia” mai) il 24 agosto 2016 con epicentro Accumoli. Poi il 26 ottobre 2016 con epicentro Castelsantangelo sul Nera. Poi il 30 ottobre 2016 con epicentro Norcia. Poi il 18 gennaio 2017 con epicentro Capitignano. Lazio, Marche, Umbria, Abruzzo: il sisma “dell’Italia Centrale”, un terremoto senza fissa dimora. In quella polvere sta tutta la delicatezza e la fragilità delle nostre “terre alte”, così come la storia di un pervicace radicamento storico che terremoti, conflitti, carestie e stagioni avverse non hanno mai fiaccato come invece, da qualche decennio, una “modernità” male intesa di un Paese che dimentica interi pezzi del proprio corpo relegandoli ad un dimensione remota e laterale, buona da abbandonare e difficile da pensare come futuro. Sulla resistenza di quelle terre all’oblio e alla marginalizzazione, una resistenza pienamente in atto nonostante tutto, si è abbattuto questo sisma, impietosamente. Da quella polvere, dunque, si ricomincia con un nuovo ciclo di civilizzazione, l’ennesimo, forse il più sfidante.
Le seconde rimangono ancora nell’aria. Dalle parole disperate dei primi minuti a quelle di resistenza subito seguite; da quelle di accorata richiesta di aiuto a quelle del fare operoso dei soccorritori; da quelle dei social a quelle della politica, della società civile, della religione, degli intellettuali e dell’Università, dei media locali e nazionali (anche internazionali), dei produttori, dei bambini, dei ciarlatani e dei cialtroni. Parole a volte anche aspre, parole-silenzi ancor più pesanti, parole di speranza e di attesa. Parole di riscatto. Parole-immagini. Parole che, appena pronunciate, cominciano ad essere ripetute e riprodotte sino ad essere autoevidenti, a diventare “fatto” col solo pronunciarle.
Tutto questo turbinio di parole lascia una traccia, soprattutto oggi, nell’era della “scomparsa” dell’oblio, ma mai come nel caso di una catastrofe quale un terremoto delle dimensioni di quelli sopra citati è bene mantenere viva la memoria delle cose dette e degli accadimenti. Perché questa “mente collettiva” ricorda ciò che è stato fatto, ciò che dovrà essere fatto, ciò che al contrario non è stato fatto. Inchioda gli affabulatori alle loro responsabilità, vincola i progettisti ai loro impegni e consegna chi ha ben operato all’onore della storia. E dunque il valore delle parole (delle espressioni) conquista la sua rilevanza nella narrazione ecumenica del terremoto. Certo, il metterle in ordine alfabetico, compiere una scelta, distillare in poche righe le essenze di quella narrazione è impresa rischiosa, prima ancora che ardua, per via delle omissioni certamente ma anche della prospettiva adottata, della focale usata, della natura delle parole stesse la cui funzione è quella di spiegare altre parole.
Nel Dizionario abbiamo voluto “assorbire” alcuni dei temi ricorrenti, così come alcune delle riflessioni “autonome” che da tali temi sono originate. Nulla di sistematico, dunque, né di esaustivo rispetto alla ricchezza del dibattito pubblico; e neanche velleità di realizzare uno dei numerosi strumenti che pure sono in via di costruzione, soprattutto in ambito politico- accademico, per accompagnare il processo di uscita dalla fase emergenziale e di ricostruzione. Lo scopo prioritario è di costituire una sorta di repertorio di questioni (un po’ letterario, anche, va detto) che possa suscitare a sua volta considerazioni più approfondite su come si sviluppa il reticolo di relazioni, di solidarismo, di conflitto, di comunicazione e di creazione di consenso/dissenso attorno alla (ri)organizzazione di un territorio dopo un evento che da quel 24 agosto ancor oggi fa sentire i suoi (si spera sempre più radi) colpi di coda. Alcune voci, come si potrà notare, sono più contenute in termini di ampiezza di altre, ma va sottolineato come in generale l’intento non sia, come sopra accennato, esaustivo poiché si è cercato di suscitare la riflessione piuttosto che esaurirla nella lettera del testo; in questo il Dizionario va visto come un “addensamento” di ciò che è circolato in quest’anno e passa, un esercizio volto a concentrare, distillare si è detto sopra, una grande produzione – più o meno consapevole nella sua genesi – di idee, comunicati, pensieri, sentimenti ed esternazioni di varia natura.
Nel testo sono segnalati in grassetto corsivo i lemmi che ricorrono nel Dizionario, poiché è sembrato evidente che le varie componenti del dibattito pubblico sono tra loro estremamente interconnesse, e non potrebbero essere altrimenti.
Buona lettura.
(Camerino, gennaio 2018. Marco Giovagnoli)
Abbandono
È lo spettro che aleggia sulle aree più interne colpite dal terremoto del 2016-17, ossia il pericolo che queste zone siano destinate a non essere più abitate o quanto meno non più abitate come lo erano prima degli eventi sismici. Non che il fantasma non fosse già apparso prima del 24 agosto: gran parte delle zone terremotate sono anche quelle per le quali il tema dell’abbandono da parte degli abitanti era oggetto di riflessione e di intervento da parte delle istituzioni di governo e dell’attivismo locale, anche se poi in realtà si scoprirà che queste aree erano ancora in parte vissute attivamente. Testimonianza in tal senso arriva dalla Strategia nazionale per le aree interne (Snai) che nasce proprio come piano per il rilancio socioeconomico di territori analoghi a quelli in questione. Il tema dell’abbandono viene ovviamente rilanciato a seguito delle difficoltà di reinsediamento post-sisma e del rischio di desertificazione e diventa questione “politica” nella misura in cui lo spopolamento viene percepito come conseguenza dell’impasse nella ricostruzione o, peggio ancora, volontà precisa di “semplificare” i territori approfittando dell’evento sismico. Va segnalata anche un’altra declinazione di questo termine, un suo rovesciamento di significato, ossia il rischio dell’abbandono degli abitanti da parte dello Stato, del Governo, dei media, dell’attenzione dell’opinione pubblica etc.: dunque non persone che abbandonano, ma persone che vengono abbandonate. Cioè lasciate nella loro precarietà, nella ridefinizione coatta delle proprie sfere vitali, nell’impoverimento materiale e relazionale; colmate di (sovra)attenzione mediatico-politica in una primissima fase, ricordate poi in occasione delle feste comandate e infine lentamente relegate nel cono d’ombra del lungo e incerto processo di ricostruzione, in balia di burocrazie asettiche, lente o, parallelamente, feroci, o anche sorpassate da altre emergenze nazionali ed internazionali, etc. Due volti del rischio dell’abbandono, dunque, uno territoriale, esterno ed un altro più intimo, vitale. Entrambi potenzialmente esiziali per le aree e le comunità colpite dal sisma.
(Il testo fin qui riportato, dietro concessione dell’autore e dell’editore, è un estratto dal Piccolo dizionario sociale del terremoto)
L’autore. Marco Giovagnoli, sociologo, è docente di Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro presso l’Università degli Studi di Camerino. Da tempo collabora con l’Università del Molise, dove insegna Sociologia del Territorio presso la sede di Termoli.
Il libro. Nelle librerie dalla seconda metà di gennaio 2018, il Piccolo dizionario sociale del terremoto (pp. 260; 12 euro) di Marco Giovagnoli è pubblicato dalla casa editrice Cromo di Ascoli Piceno. Come precisato nella quarta di copertina, “tutti gli eventuali introiti per l’autore derivanti dalle vendite del volume saranno destinati alla costituzione di un fondo per l’istituzione di borse di studio per tesi di laurea di studentesse e studenti dell’Università di Camerino, dedicate ad aspetti sociali del sisma che ha colpito le aree centrali dell’Italia tra il 2016 e il 2017”. Il volume può essere acquistato online, attraverso la stessa casa editrice Cromo o ancora nei seguenti circuiti: Feltrinelli, Ibs, Unilibro e Libreria Universitaria.
Ecco perché il Piccolo dizionario sociale del terremoto è online
Le parole prima di tutto. Ha ragione il sociologo Marco Giovagnoli quando afferma che “un terremoto solleva polvere e parole”. Parole che galleggiano nell’aria e che domandano di essere interpretate, nel tentativo di comprendere cosa è accaduto e cosa potenzialmente potrà avvenire nelle terre scosse e devastate dal sisma del 2016/2017. Un pezzo d’Italia, cuore fragile del Paese e già tale ancor prima di essere messo in ginocchio dal terremoto, il cui futuro ci interroga e riguarda tutti. Ecco allora che le parole, inanellate una dietro l’altra, esplorate e scandagliate durante la ricerca condotta in punta di piedi da Giovagnoli, diventano il primo strumento per tentare di capire ed elaborare una sintesi critica. L’alfabeto del terremoto come porta d’accesso, dunque, al labirinto della complessità delle terre mutate.
C’è di più che, di fatto, il Piccolo dizionario sociale del terremoto di Giovagnoli è il primo risultato di ricerca a venire a galla dopo il sisma (altri in diversi ambiti ne sono attesi nei mesi a venire). Spunta fuori da un’urgenza civile e intellettuale, non da una committenza né pubblica né privata: il bisogno di comprendere e condividere. Debbo riconoscere che, da subito, quando Giovagnoli mi ha parlato di questo suo lavoro, rendendomene poi partecipe nelle sue battute finali quando la ricerca ha preso forma compiuta, l’operazione del Piccolo dizionario sociale del terremoto ha destato il mio vivo interesse. Una curiosità ripagata, dopo l’attesa, dalla lettura del Dizionario e soprattutto dalla comunanza di intenti che si è appalesata fra lo Stato delle cose e Giovagnoli. E’ insieme, infatti, che abbiamo condiviso l’opportunità di consegnare al dibattito pubblico il Piccolo dizionario sociale del terremoto attraverso una scelta nient’affatto scontata e, a mio avviso, culturalmente e politicamente significativa e importante: rendere accessibile a titolo gratuito, attraverso appunto questo spazio virtuale dello Stato delle cose, l’edizione integrale del dizionario.
Per qualcuno la parola partecipazione ha un significato sloganistico e vuoto, risolvendosi in un’astrazione che nel gioco delle parti vanifica il confronto ed elude l’autentica partecipazione democratica, ma per Giovagnoli evidentemente non è così. Il Piccolo dizionario sociale del terremoto è qui e soprattutto, negli intenti dell’autore, che condividiamo e sosteniamo, non finisce qui. Dietro la scelta di renderne i contenuti accessibili c’è l’idea di continuare questa ricerca attraverso le parole del terremoto e, a fronte di un dibattito auspicabilmente quanto mai più esteso, approdare nel corso del tempo alla stesura e pubblicazione di una seconda del Dizionario. Non si tratta soltanto di aggiungere altre voci ai 67 lemmi già custoditi nel dizionario, bensì di compiere uno sforzo condiviso per non distogliere lo sguardo dalle terre in moto e dal loro domani possibile.
(Antonio Di Giacomo, ideatore e curatore dello Stato delle cose)
Come scrivere al Piccolo dizionario sociale del terremoto
Per esprimere la tua opinione sul dizionario, offrire il tuo contributo di proposta e di analisi sulle parole del terremoto
e contattare l’autore scrivi a questa mail: leparoledelterremoto@gmail.com
[…] che riguarda il sisma, e che è prezioso per ripartire almeno con le narrazioni stesse. Lo trovate qui. E comincia, com'è giusto, con la A di […]
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