L’analisi del sociologo Samuel Henry Prince (1920) sui cambiamenti sociali e politici a seguito dell’incendio che distrusse parte della città di Halifax (Canada), generato dall’esplosione di materiale militare sulla nave Mont Blanc, sancisce convenzionalmente la nascita degli studi moderni sui disastri. Da allora, il disastro viene considerato come frutto dell’interazione tra aspetti naturali e tecnici (come la geologia, la dinamica di una frana o la struttura di un edificio antisismico) e quelli umani e sociali (come le conseguenze sulle persone, la risposta dei sistemi sociali e le misure di prevenzione da disastri futuri). Negli ultimi 50 anni, inoltre, varie correnti di pensiero rifiutano la banalizzazione dei disastri come risultato esclusivo di forze naturali incontrollabili, considerandoli piuttosto come conseguenza della vulnerabilità umana e sociale creata, sviluppata e riprodotta nella complessità delle strutture sociali ed economiche che governano il pianeta (O’Keefe et al., 1976), del potere e delle disuguaglianze (Peek, 2019).
L’Aquila, aprile 2019. Fotografia di Giuseppe Carotenuto
La vulnerabilità come agente principale dei disastri
Generalmente, le persone e i gruppi marginalizzati che subiscono maggiori discriminazioni su base etnica, religiosa, di genere, di abilità, reddito e cittadinanza sono quelle maggiormente vulnerabili ai disastri. Un evento naturale estremo, come un terremoto o un’alluvione, converge pertanto maggiormente su queste persone e questi gruppi rispetto a quelli dotati di poteri e risorse maggiori. È l’interazione tra l’evento naturale e tali vulnerabilità a creare dunque un disastro. Non un fenomeno “eccezionale” rispetto al contesto in cui viviamo e alle sue congiunture, ma una costruzione sociale e politica, radicata nel quotidiano di questo contesto e normalizzata nelle sue fondamenta (Forino e Carnelli, 2017).
Innumerevoli esempi collegano la vulnerabilità a cause primigenie do lungo periodo come la colonizzazione, la violenza etnica e politica, lo sfruttamento delle risorse, l’ideologia patriarcale e la corruzione. L’antropologo Anthony Oliver-Smith (1999) ha dimostrato come gli effetti del terremoto nelle Ande peruviane del 31 Maggio del 1970 derivassero dai profondi cambiamenti strutturali apportati nelle comunità andine dalla colonizzazione spagnola fin dal XVI secolo. Secondo Oliver-Smith, i ritrovamenti archeologici locali dimostravano come quelle comunità, pur essendo state colpite da altre calamità ambientali in passato, non raggiunsero livelli di distruzione di massa grazie alla capacità di adattamento e di mitigazione della loro organizzazione sociale, dei propri insediamenti e delle pratiche agricole. La colonizzazione spagnola stravolse tali capacità portando all’annichilimento demografico e allo spostamento coatto delle comunità andine, nonché all’abbandono delle forme tradizionali di presidio territoriale e a nuovi modelli di insediamenti e tecniche di costruzioni incompatibili con l’ambiente circostante. Questi stravolgimenti aumentarono sensibilimente la vulnerabilità sismica degli insediamenti e contribuirono alla scomparsa di quelle conoscenze locali stratificatesi nel corso dei secoli, fino al punto di rottura del 1970.
La discriminazione dei Rohingya, minoranza musulmana perseguitata del Myanmar, affonda le sue radici nella colonizzazione inglese nel Golfo del Bengala e nelle conseguenti migrazioni forzate e scontri etnici. Con l’indipendenza dell’allora Birmania nel 1948, i Rohingya cominciarono a essere considerati immigrati “illegali” provenienti dall’odierno Bangladesh e sistematicamente soggetti a meccanismi di espulsione (Sassen, 2014), privazioni e soprusi. Case e villaggi vengono ripetutamente distrutti, sono negati i diritti di cittadinanza e l’accesso alla terra, alle cure mediche, all’istruzione. Ondate di migrazioni forzate (l’ultima delle quali nel 2017) li costringono a spostarsi in condizioni pericolose verso campi per rifugiati in Bangladesh o India, o a rischiare la vita nell’Oceano Indiano su barche insicure.
Un gruppo di volontari della Croce rossa italiana consegnare beni di prima necessità ai senza tetto nel centro di Torino. Fotografia di Stefano Stranges*
Dopo un disastro: disuguaglianze e profitti
Anche dopo un disastro, l’accesso limitato alle risorse di base e la marginalità negli spazi decisionali rende molte persone già vulnerabili soggetti a conseguenze peggiori nel breve e lungo periodo. A Houston, la ricostruzione dopo l’uragano Harvey nel 2017 ha riprodotto problematiche maggiormente persistenti per le comunità ispaniche e afro-americane in relazione al diritto alla casa, all’assistenza sanitaria, ai servizi pubblici, all’istruzione e alla protezione ambientale rispetto ai quartieri a maggioranza bianca. Nonostante questo, i loro quartieri sono stati quelli sia con maggior ritardo nei soccorsi che con accesso limitato ai fondi per la ricostruzione (Forino e Du, 2018). Dopo il terremoto del 2012 in Emilia-Romagna, a Mirandola, i migranti e richiedenti asilo hanno ricevuto in percentuale contributi minori per fronteggiarel’emergenza, e sono stati assistiti per piú tempo nei campi tenda rispetto ad altre soluzioni abitative emergenziali (Frigerio e Carnelli, 2016). Ancora, in molti paesi del mondo continuano le discriminazioni verso le persone LGBTQI, che dopo un disastro non hanno accesso alle stesse misure di assistenza garantite al resto della popolazione e sono vittime di attacchi, abusi e sfruttamento (Dominey-Howes et al., 2017).
Le fasi post-disastro, inoltre, sono facilmente preda di speculazione. Il capitalismo dei disastri, le cui dinamiche sono state descritte dalla giornalista Naomi Klein (2008), si manifesta con la creazione di dipendenza dagli interventi umanitari e da forniture da parte di compagnie private (in particolare multinazionali), con l’accaparramento di risorse naturali, la privatizzazione di servizi e spazi pubblici e l’imposizione di svolte politiche autoritarie o di logiche securitarie e di militarizzazione. Una vera e propria “economia della catastrofe” -definizione della politica ed economista urbana Ada Becchi Collidà (1988) in merito ai meccanismi di ricostruzione post-terremoto in Campania e Basilicata nel 1980- che vede tra le sue caratteristiche principali la commistione clientelare tra politica, industria e imprese nelle gare di appalti, nella pianificazione e nella realizzazione di opere e infrastrutture. O come la ricostruzione dopo il tremendo terremoto di Messina nel 1908, caratterizzata dalle mire speculative di una nascente imprenditoria edilizia su lotti e terreni, a discapito del miglioramento delle condizioni di vita delle persone colpite o piú povere (Farinella e Saitta, 2020). O come le grandi opere e i progetti di ricostruzione nei piccoli paesi dell’Umbria e delle Marche colpiti dai terremoti del 2016 e 2017, calati dall’alto e promossi come occasioni di sviluppo economico (Di Vito, 2019; Macchiavelli e Olori, 2019).
Aprile 2020. Giovani laureandi in medicina, assunti per l’emergenza Covid-19, alla fine della loro giornata di servizio nell’ospedale All Covid di Verduno (Cuneo). Fotografia di Stefano Stranges*
Il disastro della pandemia
Questi mesi di pandemia hanno visto dipanarsi traiettorie simili a quelle raccontate finora. Sebbene descritta come un evento inatteso o eccezionale, che ovunque nel mondo ha colto impreparati il mondo politico e il settore sanitario ed emergenziale, una pandemia veniva da tempo considerata uno degli eventi possibili del XXI secolo (Gibbs, 2005). Un video di Le Monde ripreso da Internazionale dimostra, per esempio, come siano stati gli esseri umani ad aver creato le precondizioni per la trasmissione del virus e la sua accelerazione tramite deforestazione, inquinamento, allevamenti intensivi ed espansione urbana incontrollata, riducendo le distanze con specie animali potenziali vettori dei virus e aumentando la capacità di trasmissione intra- e inter-specie.
Inoltre, il contenimento della pandemia ne ha rivelato la vera natura acceleratrice di disuguaglianze preesistenti. Le misure adottate hanno spesso dimenticato o si sono rivelate inefficaci per persone senzatetetto, disabili, o povere, per quelle fuori dai circuiti di lavoro ufficiali o in carcere (Antigone, 2020). La costrizione in quarantena ha aumentato le miserie e le sofferenze di persone precarie, soggette ad abusi o non autosufficienti, e il carico di cura e lavoro domestico non remunerato per milioni di donne. In molti paesi dell’Asia o dell’America Latina in cui é stato dichiarato il coprifuoco, migliaia sono stati gli arresti in seguito a violazioni compiute semplicemente alla ricerca di cibo o beni di prima necessità. Negli Stati Uniti le persone ispaniche e afro-americane, senza assicurazione sanitaria o a salari bassi, in caso di contagio sono quelle generalmente con meno accesso ai servizi sanitari o alle quali viene garantito in ritardo (Rabin, 2020).
La pandemia ha fatto inoltre tornare alla ribalta personaggi discussi come Guido Bertolaso (Scandolara, 2020), medico ed ex capo del dipartimento della Protezione Civile sotto i vari governi Berlusconi tra il 2001 e il 2010, incaricato della gestione dei grandi eventi e delle emergenze degli anni 2000. Tra queste, ricordiamo la ricostruzione dopo il terremoto dell’Aquila nel 2009, con la frettolosa e ambigua soluzione del Progetto CASE (Alexander, 2013) e lo spostamento del G8 dalla Maddalena al distrutto capoluogo abruzzese. Ricomparso in questi mesi, acclamato da quasi tutto l’arco politico che ne declamava competenze tecniche nelle emergenze, Bertolaso é dapprima approdato in Lombardia per gestire la costruzione di un ospedale Covid in zona Fiera di Rho, che ha tuttavia ospitato solamente 10 pazienti e per il quale il futuro utilizzo é incerto. Nelle Marche ha poi gestito la costruzione di un altro ospedale Covid a Civitanova Marche, costruito con 18 milioni di investimenti pubblici e privati e chiuso dopo appena 10 giorni con 3 soli pazienti ospitati (Di Vito, 2020). Ora, convocato dal presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci (M5S), supporta –non si sa ancora come- la fase 2 della regione.
Intorno alla pandemia vige ancora un regime di incertezza sulle misure da adottare e sulla loro efficacia, sull’andamento dei contagi, sulla futura diffusione del virus, e sulla necessità di misure di coordinamento globali. Appare invece chiaro che essa, proprio come un disastro, sia un evento normalizzato nella costruzione del nostro insostenibile sistema sociale ed economico, che crea e perpetra disuguaglianze e consente di speculare e generare profitti sulla sofferenza di tante e tanti.
L’Aquila, aprile 2019. Fotografia di Giuseppe Carotenuto
Bibliografia
Alexander, D. (2013). An evaluation of medium-term recovery processes after the 6 April 2009 earthquake in L’Aquila, central Italy. Environmental Hazards, 12(1), 60-73.
Antigone, 2020. Il carcere al tempo del coronavirus. XVI Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione.
Becchi Collidà, A. (1988). Catastrofi, sviluppo e politiche del territorio: alcune riflessioni sull’esperienza italiana. Archivio di studi urbani e regionali, 31, 3-36.
Carnelli, F., Frigerio, I. (2016). A socio-spatial vulnerability assessment for disaster management: Insights from the 2012 Emilia earthquake (Italy). Sociologia urbana e rurale.
Di Vito, M. (2019), Dopo. Storie da un terremoto negato, Lo stato delle cose/Poiesis editrice, Alberobello (Bari).
Di Vito M., Marche, Chiuso l’ospedale di Bertolaso. Un flop da 18 milioni, il manifesto, 06/06/2020, https://ilmanifesto.it/marche-chiuso-lospedale-di-bertolaso-un-flop-da-18-milioni/
Dominey-Howes, D., Gorman-Murray, A., McKinnon, S. (2014). Queering disasters: On the need to account for LGBTI experiences in natural disaster contexts. Gender, Place & Culture, 21(7), 905-918.
Farinella, D., Saitta, P. (2019). The Endless Reconstruction and Modern Disasters: The Management of Urban Space Through an Earthquake-Messina, 1908-2018. Springer.
Forino G., Carnelli, F., Di cosa si parla quando si parla di rischio in Italia?, Lavoro Culturale, 05/12/2017, https://www.lavoroculturale.org/cosa-si-parla-si-parla-rischio-italia/
Forino G., Du, T. L. T., Un anno dopo l’uragano Harvey, a Houston, Lavoro Culturale, 06/09/2018, https://www.lavoroculturale.org/un-anno-dopo-luragano-harvey-a-houston-one-year-after-hurricane-harvey-in-houston/
Gibbs, E.P.J. (2005). Emerging zoonotic epidemics in the interconnected global community. Veterinary Record, 157(22), 673-679.
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Macchiavelli, V., Olori, D. (2019). Grandi opere per ri-disegnare il territorio terremotato. Il “QuakeLab Center Vettore”, paradigma della strategia d’investimenti. Scienze del Territorio, 7, 61-69.
O’Keefe, P., Westgate K., Wisner B. (1976). Taking the” Naturalness” out of” Natural Disaster”. Nature, 260, 566-567.
Oliver-Smith, A. (1999). Peru’s five-hundred-year earthquake: vulnerability in historical context. In The angry earth (pp. 88-102). Routledge.
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Prince, S.H. (1920). Catastrophe and social change, based upon a sociological study of the Halifax disaster (No. 212-214). Columbia University. https://file.largepdf.com/file/2019/04/09/7512015231.pdf
Rabin, R.C., Black Coronavirus Patients Land in Hospitals More Often, Study Finds, New York Times, 23/05/2020, https://www.nytimes.com/2020/05/23/health/coronavirus-black-patients.html?searchResultPosition=6
Sassen, S. (2014). Expulsions: Brutality and Complexity in the Global Economy, Harvard University Press.
Scandolara G., Terremoto e COVID-19: emergenze che insegnano molto sulla “mano degli aiuti”, Lavoro Culturale, 16/06/2020, https://www.lavoroculturale.org/terremoto-e-covid-19-emergenze-che-insegnano-molto-sulla-mano-degli-aiuti/#disqus_thread
L’autore. Giuseppe Forino è un geografo e lavora presso la University of East Anglia (Norwich, Regno Unito). Da oltre dieci anni conduce ricerche sulla gestione dei rischi e dei disastri in Europa, Australia, Sud-Est Asiatico ed Ecuador. Ha pubblicato numerosi contributi in italiano e inglese su riviste accademiche e testate divulgative, e curato con Sara Bonati e Lina Calandra il volume Governance of Risk, Hazards and Disasters: Trends in Theory and Practice (Routledge, 2018). Fa parte della redazione del blog Lavoro Culturale.
Reparto di rianimazione-Covid, ospedale Mauriziano (Torino), aprile 2020. Mauro, uno dei medici anestesisti del reparto. Fotografia di Stefano Stranges*
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