E anche stavolta riemerge dai cassetti degli errori politici il fantasma della legge-quadro sulla ricostruzione. Invocato, esibito, acclamato dopo ogni terremoto da almeno vent’anni, da quando Franco Barberi provava ad affrontare da sottosegretario a Palazzo Chigi la gestione della Protezione Civile. Alcuni terremoti fa.
San Giuliano di Puglia, Emilia Romagna, Centro Italia, Ischia e Catania si sono susseguiti con il loro carico di macerie e ritardi. Ognuno diverso ma accompagnato dalla stessa richiesta di una soluzione legislativa per eliminare alcuni ostacoli e procedure e rendere meno lenta la ricostruzione dei territori. Identica, finora, anche l’incapacità di soddisfarla. E, quindi, dopo ogni calcolo dei danni e degli anni necessari per rimettere in piedi case e attività, i governi sono costretti a iniziare a produrre leggi e ordinanze. Sperando che siano utili ma ricominciando ogni volta da capo il lento lavoro di costruzione delle norme. Impiegando tempo e energie senza certezze sulla loro efficacia. Ogni volta si finisce per usare il terremoto precedente come modello unico di riferimento, in positivo o in negativo, e si procede con la stesura delle regole adattandole al territorio successivo, non sempre tenendo in considerazione le differenze. Si seguono soprattutto le sensibilità del governo di turno, si mettono a frutto le competenze degli esperti disponibili, si avanza con lentezza e quasi a caso.
Della ricostruzione dell’Aquila sappiamo che non ha funzionato come avrebbe dovuto. Non è una questione di mancanza di risorse: i fondi sono arrivati, e anche in quantità sufficiente. È venuto meno tutto il resto, l’impalcatura su cui avrebbe dovuto poggiare la ricostruzione: dalle norme alla divisione delle competenze e dei poteri, con la creazione di ritardi e sprechi. Dopo dieci anni all’Aquila nel settore privato si è arrivati a ricostruire quasi due edifici su tre. Il percorso è stato lento, tortuoso e del tutto personale, un limitato microcosmo che con gli anni si è moltiplicato in una somma di limitati microcosmi senza mai assumere il carattere di sistema necessario per ricostruire davvero una comunità oltre ai suoi edifici. Nel pubblico si è andati anche più lentamente: ci vorranno ancora almeno altri dieci anni prima di vedere andare via le gru dal centro e da buona parte delle frazioni.
Nel Centro Italia sta andando ancora peggio. A quasi tre anni dal terremoto la ricostruzione è una speranza dal fondo cavo: priva di spazi, progetti, idee. Sui tavoli degli uffici si sono spesso accumulate soltanto richieste e scosse in una inedita sovrapposizione di più terremoti che ha generato un’ulteriore stratificazione di richieste, di confusione e perdite di tempo per capire quali norme applicare.
Sarebbe andata diversamente se ci fosse stata una legge-quadro e si fosse evitato di importare un impianto di norme che aveva funzionato in Emilia Romagna ma che si sono rivelate del tutto inadeguate a duecento e oltre chilometri di distanza? Difficile dirlo ormai, ma in questa difficoltà riemerge l’interrogativo di sempre: è giusto ricominciare ogni volta a costruire il castello di norme che è la base di ogni ricostruzione per cucirlo su misura delle esigenze di ogni territorio oppure è giunto il momento di creare una legge-quadro in grado di rendere meno farraginosa almeno una parte del lavoro da svolgere?
Enzo Mosino, prefetto, nel 1980 al fianco di Giuseppe Zamberletti durante il terremoto dell’Irpinia e della Basilicata
«In base alla mia esperienza posso dire che non sono d’accordo con l’idea di definire una legge quadro unica da applicare a ogni terremoto. L’abbiamo visto in questi anni: il terremoto dell’Irpinia è stato molto diverso da quello dell’Aquila e quello del Friuli non ha molto a che vedere con quello del Centro Italia. Le esigenze della ricostruzione sono diverse, come diversi sono i territori da un punto di vista geografico, economico e sociale. Non può funzionare un modello unico. È necessario invece che lo Stato approvi in fretta dopo ogni terremoto una legge con le regole e le risorse necessarie per la ricostruzione. Alla fine di tutto però occorre sapere ancora una cosa: la ricostruzione è un processo lento, richiede sempre e comunque dieci o anche venti anni. Impossibile fare più velocemente».
Vasco Errani, primo commissario straordinario alla ricostruzione del terremoto del Centro Italia
«Dal terremoto dell’Emilia Romagna del 2012 sostengo la necessità di approvare una legge quadro che definisca un sistema di riferimento utile affinché non si ricominci da capo per ogni evento. È del tutto chiaro che ogni terremoto ha la sua specificità che necessita di risposte puntuali ma ritengo che sia possibile individuare norme generali che siano in grado di rispondere alle emergenze e alla ricostruzione in maniera efficiente in modo da assicurare gli stessi diritti a tutti i cittadini. In primo luogo io penso che un tema fondamentale sia la governance e che al centro occorra mettere i territori, i comuni e le regioni: senza il protagonismo del territorio non è possibile affrontare la ricostruzione. Infine norme quadro che affrontino i problemi fiscali e i criteri generali della ricostruzione sono fondamentali e hanno tratti comuni in tutte le emergenze».
Vito Crimi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla ricostruzione
«L’ho detto fin dall’inizio: abbiamo un grande codice della Protezione Civile, manca tutto quello che serve un minuto dopo aver fatto fronte all’emergenza. Cittadini, imprese, istituzioni: tutti hanno il diritto di sapere se la loro casa verrà ricostruita. Per il terremoto di Catania abbiamo dovuto scrivere un decreto specifico, questo ha richiesto tempo e costretto i cittadini ad attendere senza sapere se avrebbero avuto il contributo di autonoma sistemazione o se e quando sarebbe avvenuta la ricostruzione. I cittadini invece hanno il diritto di vivere in queste difficili circostanze senza avere dubbi.
C’è poi da affrontare il nodo della governance di questi fenomeni. Ogni volta vengono creati enti commissariali per gestire le emergenze. Io credo che invece la gestione vada centralizzata utilizzando le Regioni e soprattutto i Comuni per la parte operativa, soprattutto quando ci troviamo di fronte a eventi che investono territori con dimensioni diverse come è accaduto nel Centro Italia. È impensabile che la Presidenza del Consiglio abbia un contingente di persone che si mettono a disposizione dei Comuni in modo stabile non solo per le schede Aedes ma anche per la ricostruzione. Vorrei creare un gruppo di un migliaio di persone per affiancare i sindaci nella fase iniziale degli interventi. Dovrebbe essere un contingente di riservisti, professionisti che diano la loro disponibilità a correre in caso di crisi come terremoti o altri disastri. Dovrebbe essere personale formato, parametrizzato in funzione di ciò che è accaduto e quindi in grado di operare in base alle diverse esigenze: se l’evento ha colpito un unico centro, una provincia, se ha investito più province, se coinvolge edifici pubblici o solo privati. Se l’evento coinvolge più regioni, come è avvenuto nel centro Italia, la governance deve essere diversa da quella che si utilizzerà per eventi di minore estensione. Non tutti i terremoti sono uguali ma la legge quadro deve prevedere tutte le casistiche possibili per dimensioni geografiche e quantitative dei danni subiti e, su questa base, definire gli interventi. Vanno standardizzate alcune procedure, non si può ogni volta definire come a chi vada presentata una domanda di ricostruzione, lasciando che queste procedure dipendano dai governi e dalle sensibilità del momento. Si deve prendere quello che di buono è stata fatto in passato e trasferirlo nella legge quadro. Alla fine dell’emergenza il governo deve già sapere chi gestirà la ricostruzione, come si dovrà agire da un punto di vista tecnico e dove reperire i fondi, sia nel caso delle case private che della ricostruzione pubblica o delle imprese. Se il governo sa tutto questo, può avere più tempo per concentrarsi sulla ricostruzione economica e sociale che invece è più difficile da preventivare: il tessuto economico e sociale dell’Appennino richiede interventi diversi da quelli adatti all’Emilia Romagna.
Quanto tempo si prevede per arrivare alla legge quadro? Mi sono dato come scadenza quest’anno ma potremmo riuscirci anche prima: abbiamo messo a punto un decreto terremoto, è l’esperienza che ci permette di capire quali siano i punti di forza. Mi auguro che sia l’ultimo e che si possa poi agire sulla base della nostra legge quadro».
Stefania Pezzopane, presidente della provincia dell’Aquila durante il terremoto, oggi deputata Pd:
«Penso che una legge quadro sia necessaria. Ho provato a presentare una bozza in questo senso: era riferita a L’Aquila ma aveva l’ambizione di poter essere applicabile anche a altre emergenze. Ogni terremoto ha le sue caratteristiche: all’Aquila c’è stato il terremoto di una grande città, in Emilia Romagna quello dei capannoni, in Centro Italia quello dei piccoli borghi. Ci sono, però, dei diritti dei cittadini che non possono essere elusi: penso ad esempio alla sospensione delle tasse o alla ricostruzione da effettuare sulla prima casa o alla percentuale di contributo. Su questioni evidenti come queste non si può essere ogni volta alla mercé del politico di turno. Una legge è necessaria per stabilire alcuni diritti inalienabili del cittadino poi ci sono norme più specifiche. Si deve ancora chiarire a chi spetta la gestione dell’emergenza in via definitiva. Spetta alla Protezione Civile che ha poteri che sono stati sottratti ai Comuni come accade all’Aquila oppure i Comuni non devono avere poteri come è stato deciso per il centro Italia? Secondo me è preferibile avere una Protezione Civile efficiente e poi restituire i poteri ai sindaci al momento giusto. Va deciso anche quanto dura un’emergenza. È necessario che i territori abbiano una stabilità istituzionale per pianificare gli interventi e per dare gli abitanti un orizzonte diverso. Alcuni punti cardine vanno inseriti in una legge organica, le decisioni più specifiche vanno lasciate a ordinanze e leggi regionali».
Fabrizio Curcio, capo della Protezione Civile durante il terremoto del Centro Italia
«Non sono né per una legge quadro universale, né per regole ogni volta diverse: mi pongo in mezzo. È vero che ogni sisma ha le sue caratteristiche, lo abbiamo visto in questi anni: in Italia si sono verificati tre eventi molto diversi che quindi richiedono strumenti diversi perché impattano su società diverse. Non credo che si possa adottare uno strumento in grado di fornire una soluzione in ogni contesto. Ci sono però degli elementi di una legge quadro che sono validi per tutti. È il caso della sospensione delle tasse, nessuno la mette in discussione. Si può poi discutere per quanto tempo adottarla. In genere questo tipo di decisioni si riferiscono a provvedimenti di tipo economico che le ordinanze di protezione civile non possono prevedere. Alcuni elementi potrebbero far parte di un primo pezzo di una legge quadro formulato come una norma che assegna diritti uguali a tutti evitando la divisione in cittadini di serie A e di serie B. Deve esserci poi un secondo pezzo della legge concepito sotto forma di cassetta degli attrezzi con tutti i provvedimenti che possono essere messi in atto ma l’effettiva applicazione poi dipenderà dal territorio colpito e dalla situazione generale, dal contesto economico e politico. È diverso operare se c’è recessione o uno spopolamento o se ci troviamo in un’area che produce una fetta importante del Pil del Paese. Si individuano gli strumenti a disposizione e si offre alle istituzioni politiche competenti la responsabilità di decidere che cosa adottare, come e per quanto tempo».
Guido Bertolaso, capo della Protezione Civile durante il terremoto dell’Aquila
«Non ha alcun senso pensare a una legge valida per tutti, ogni terremoto ha una sua specificità. Il terremoto dell’Aquila è stato diverso da tutti quelli degli ultimi cento anni. Bisogna tornare indietro fino alla distruzione di Reggio Calabria e Messina per trovare un intero capoluogo distrutto. Tutti i terremoti di questi ultimi decenni, dal Friuli fino a quello del Centro Italia, hanno cancellato paesi molto più piccoli. Nel caso dell’Aquila ci siamo trovati di fronte a un insieme di circostanze che hanno reso l’intervento molto complesso: c’era un grande centro storico e un’enorme area tutt’intorno formata da decine di centri storici più piccoli, tutti da ricostruire. Non è una legge quadro la soluzione. Serve capacità, serve la conoscenza dei problemi e degli strumenti per risolverli. Non tutti sono in grado.
Sono mancate persone capaci di occuparsi di ricostruzione, di destreggiarsi con i problemi complessi di una realtà non semplice già in partenza, resa ancora più complicata da una situazione estremamente difficile. Ricostruire una cattedrale o dei palazzi storici è già complicato in condizioni normali, figuriamoci in una città distrutta come L’Aquila. Tutto questo richiede tempi che non si possono comprimere. Quanto tempo hanno impiegato per ricostruire l’unico centro storico distrutto dal terremoto del ’97? Quindici anni hanno impiegato e ha un’area grande quanto la piazza del Duomo dell’Aquila.Sono allibito dalla facilità con cui le persone parlano e dalla loro superficialità: è chiaro che è più rapido ricostruire quartieri come Coppito dove gli edifici sono moderni e non ci sono vincoli a rallentare gli interventi. Ma nel centro storico la volontà espressa dagli aquilani era di rispettare alcuni criteri che hanno portato a un’attesa più lunga. Gli uomini passano, le istituzioni restano. Avevo detto che sarebbero stati necessari dieci anni, probabilmente, invece, ci vorrà il doppio del tempo ma credo che qualcuno dovrebbe darmi atto delle scelte compiute e di aver detto fin dall’inizio che i tempi non sarebbero stati brevi. Ho dato una casa a 80mila persone e ne sono orgoglioso. Le persone sanno di poter aspettare anche qualche anno in più perché vivono in una situazione confortevole al contrario di quanto accade nel Centro Italia».
Piero Farabollini, commissario straordinario alla Ricostruzione del Centro Italia
«In alcune situazioni la presenza di regole definite da una legge quadro è necessaria. Per esempio, nella fase di emergenza, quando si deve costituire un comitato tecnico scientifico o quando dobbiamo definire le modalità per caratterizzare il livello del danno. In qualsiasi decreto legge queste questioni vengono trattate alla luce della normativa vigente quindi se la norma cambia, cambia anche la procedura. Sarebbe giusto e più efficiente prevedere regole uniche.
La presenza di una legge-quadro in fase di ricostruzione richiede molta attenzione. Permette maggiore rapidità ma bisogna evitare gli errori commessi nel Centro Italia dove sono state adattare norme estrapolate dall’Emilia Romagna e poco pertinenti a un territorio come quello di Amatrice o delle Marche. La questione va affrontata pensando alle situazioni geografiche, economiche, urbanistiche del territorio. È utile però immaginare un modello unico per la richiesta dei contributi o regole già definite sulla documentazione da presentare o per l’attivazione dei conti corrente ma occorre attenzione agli ambiti in cui operare».
Pierluigi Biondi, sindaco dell’Aquila
«Solo dei faciloni potevano pensare che una città importante come la nostra potesse essere ricostruita in cinque anni. Stiamo cercando di rivedere il cronoprogramma invertendo le priorità e imprimendo un’accelerazione per i proprietari di prime case. Abbiamo problemi per la mancanza di personale ma stiamo procedendo più rapidamente che in passato. Che cosa non ha funzionato? Manca una legge per la ricostruzione. Ad ogni terremoto si ricomincia da capo e ogni volta si raccomandano: “non facciamo come all’Aquila, eh!” Ed è davvero così: purtroppo per loro!
Massimo Cialente, sindaco dell’Aquila durante il terremoto e nella prima fase della ricostruzione (fino al 2017)
«Nel 2015 avevamo riportato in città 45mila persone, altro che Friuli! Però ho avuto contro tutti. Ci sono state imprese che arrivavano da tutt’Italia, ottenevano le commesse, utilizzavano il denaro per pagare i loro debiti, poi dichiaravano fallimento e bloccavano la ricostruzione. Avevo chiesto regole diverse ma nessuno dei vari governi che si sono succeduti ha voluto ascoltarmi. Non hanno dato personale a sufficienza e non hanno mai approvato una legge quadro sulla ricostruzione. Abbiamo un terremoto ogni 5 anni, ogni volta è la prima volta: è questo che crea tutti i problemi successivi. Nei comuni della valle dell’Aterno si sono persi mesi e mesi solo per capire se applicare le leggi del terremoto del 2009 o quelle del 2016. Se ci fosse stata una legge quadro non si sarebbe perso tempo. Perché non viene approvata? Perché l’Italia è un paese di cialtroni. Alla Camera non si fanno più le leggi, richiedono troppo lavoro e questo Paese non ha più voglia di fare nulla».
L’autrice. Flavia Amabile è giornalista del quotidiano La Stampa. Scrive di attualità. Ha seguito le vicende legate a diversi terremoti italiani, a partire da quello dell’Umbria del 1997
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