Vite in scatola è il nuovo progetto di documentario sul doposisma autoprodotto dallo Stato delle cose, in collaborazione con Terre in Moto Marche. Dopo Vista mare obbligatoria, nel quale abbiamo raccolto le voci degli sfollati del terremoto del Centro Italia costretti all’esilio sull’Adriatico, vogliamo indagare e raccontare le dimensioni dell’abitare nelle Italie del doposisma. A cominciare dai territori colpiti dai terremoti nel 2016/2017, dove l’emergenza e la precarietà sono ancora qualcosa di palpabile. Le persone sono sempre le stesse, le storie diverse, ma solo fino a un certo punto.
Mille giorni dopo la prima scossa di terremoto del 24 agosto 2016, sono migliaia gli sfollati che vivono dentro le cosiddette Sae (Soluzioni abitative d’emergenza), in più d’un caso con vista sulle macerie dei paesi che furono, che fra muffe e tetti che crollano per una grandinata fanno acqua da tutte le parti.
Ora la novità è che Vite in scatola è un progetto di documentario in progress. Nel corso dei mesi a venire realizzeremo una serie di episodi che, di volta in volta, proporranno un focus su un luogo, una vicenda e soltanto alla fine di questo percorso il tutto verrà unito, perché la storia del doposisma non è un blocco monolitico, ma un insieme di pezzi, un mosaico discontinuo, a volte addirittura contraddittorio, pieno di diversità che vanno affrontate singolarmente per poter capire, poi, di cosa parliamo quando parliamo del Centro Italia terremotato.
A Tolentino
Il primo capitolo di Vite in scatola è stato realizzato a Tolentino nel febbraio del 2019. Qui non ci sono le casette che il burocratese ha inteso chiamare Sae (Soluzioni abitative di emergenza), perché il Comune di Tolentino è stato l’unico in tutto il cratere a non richiederle inseguendo la convinzione che la strategia da seguire fosse il riuso del patrimonio immobiliare privato invenduto e la costruzione di nuovi insediamenti abitativi non temporanei. Fatto sta che il terremoto in Italia reinventa anche la categoria e l’idea di temporaneità, sicché dalla fine del 2016 circa 250 persone sono state alloggiate in un complesso di container lungo la zona industriale. Una trappola di polvere e plastica, spazi vuoti e strettoie, quotidianità scomposte, decostruite, spezzate e poi risistemate in modo da restituire un ordine che però è soltanto apparente, perché nei container i sentimenti prevalente sono l’inquietudine e l’alienazione rispetto a una realtà che, «là fuori», sembra andare avanti, mentre «lì dentro» tutto è fermo, tutto è immobile. E c’è pure la paura di chi, temendo chissà quali conseguenze, è disposto a parlarti sì ma a telecamere spente. Senza metterci la faccia. E non basta, come è avvenuto alla fine di maggio su iniziativa del Comune, l’affissione di un cartellone immerso nel nulla che annuncia i nuovi insediamenti abitativi, “Le nostre Sae”, in arrivo in data da definirsi ma non prima dell’autunno 2020, a riaccendere le speranze.
Il progetto di Vite in scatola nasce da un’idea di Antonio Di Giacomo, curatore dello Stato delle Cose, e si inserisce in un percorso di racconto globale del Centro Italia sfibrato dal sisma. Vite in scatola non è solo il possibile “sequel” di Vista mare obbligatoria, ma il tassello del più articolato mosaico di una narrazione multicodice in prima istanza con la fotografia, dunque attraverso il linguaggio audiovisivo e con la scrittura. Come in Dopo. Storie da un terremoto negato, primo ebook prodotto dallo Stato delle cose e ora in libreria con Poiesis editrice: il libro sul doposisma di Mario Di Vito. Di Vito, cronista del Manifesto, ha già partecipato alla realizzazione di Vista mare obbligatoria e nel progetto di Vite in scatola cura in prima istanza le interviste agli abitanti nel cratere del terremoto.
Marco Di Battista cura invece la regia del progetto, come già fatto in Vista mare obbligatoria. Il senso che sta dando a questa impresa è in qualche modo un seguito ideale di quanto fatto lungo la costa: qui i colori però sbiadiscono, il bianco e nero delle immagini serve a restituire il contrasto evidente tra la voglia di farcela dei terremotati e la realtà cupa e lentissima del doposisma. Di Battista sta lavorando in coppia con il fotografo Michele Massetani, anche lui già al lavoro in Vista mare obbligatoria e attivista della rete Terre in Moto Marche.
Tolentino, 31 maggio 2019. Fotografia di Michele Massetani
Il progetto “Lo stato delle cose” è interamente autofinanziato e reso possibile dalla spontanea partecipazione di fotografi e autori nonché dalla collaborazione e dal supporto, non economico, degli enti locali, istituzioni, associazioni e società che ne hanno condiviso gli intenti documentari.
Per informazioni e contatti con Lo stato delle cose scrivere qui: osservatoriolostatodellecose
Per essere aggiornati sugli appuntamenti e iniziative dello Stato delle cose potete seguirci anche sui social network seguiteci anche sulla pagina Facebook e sul profilo Instagram ufficiali del progetto.