Mi sento molto in difetto a scrivere queste poche righe e spero che quanti le leggeranno avranno la compiacenza di prenderle come un atto di rispetto e di umana vicinanza. La mia conoscenza personale del terremoto è estremamente superficiale; certo, talvolta ho sentito anche io il ruggito della terra e quello scuotimento – che non faccio fatica a comprendere perché gli antichi lo associassero a manifestazioni del divino – che ti lascia smarrito ed impotente. Poi i racconti di amici e degli anziani parenti de l’Aquila, i segni che ho visto da turista in tanti luoghi del mondo e quelli rinvenuti da archeologo sugli antichi manufatti. Una conoscenza distante e teorica.
Poi sono venuto a Tolentino. Qui, come in tutto il cratere del terremoto, i racconti sono incarnati nelle persone e nelle cose. Mi spiego meglio: nelle case, nei palazzi e nelle chiese ci sono segni profondi delle sofferenze strutturali; spesso dal di fuori non si vede nulla, anzi, sembrano perfettamente integre e pronte ad ospitare persone, attività, funzioni. Ma solo entrando si può intuire la portata della potenza fisica dello scuotimento. Ecco. Ora provate ad immaginare la stessa cosa sulle persone, ma non pensate a ferite suturate o a lesioni di organi interni. Con le persone è diverso: il terrae motus delle cose che spacca il monte Vettore per noi esseri umani è un mostro che terrorizza, destabilizza fin dalle fondamenta.
Tante le persone che ho incontrato che mi hanno restituito questa convinzione: un’apparenza esteriore di normalità con enormi dosi di gentilezza, simpatia, generosità tipiche di queste zone e dentro la paura del ricordo e del fatto che il mostro possa riuscire da sotto il letto. Una cosa simile l’ho vista nei profughi che sono fuggiti dalle zone di guerra. Ma in loro, a differenza della popolazione del Cratere c’è la convinzione di essere fuori dal pericolo.
Gli psicologi parlano di cinque tipologie di maschere che tutti noi indossiamo per celare dolori, paure ed ansie. Questa è la maschera del terremoto. Quella che fa tremare e piangere di rabbia e paura un omone grande e grosso dalla stretta di mano possente e dal fisico scultoreo quando ci apre le porte del suo appartamento. Quella che fa incupire il barista che ci ha serviti raccontandoci una barzelletta e che ha spostato la sua attività dall’altra parte della città e non sa come tirare avanti. Quella che fa dire al religioso che è rimasto per stare vicino a tutti ma poi è crollato e se ne è dovuto andare per un po’ dal paese. Quella della dolce vecchietta che entra nel suo appartamento abbandonato e volta la testa di scatto come farebbe un poliziotto da telefilm americano degli anni ’70 in casa di un serial killer. Come se negli angoli bui ci fosse nascosto “il bau”, l’archetipo della paura irrazionale che, normalmente confinata nei recessi limbici è libera di vagare in noi dopo l’ottobre 2016.
I Padri di San Nicola
Dalla scossa del 30 ottobre 2017 il complesso di San Nicola è retto da uno sparuto manipolo di Padri Agostiniani: prima del sisma erano nove i monaci che risiedevano stabilmente nel monastero, oggi resistono solo padre Francesco, il priore, padre Gabriele e padre Giuseppe. Racconta padre Gabriele: «La scossa del 24 agosto aveva già fatto diversi danni. Il 26 ottobre, invece, avevamo appena cenato, con noi c’erano i ragazzi del liceo. Ogni settimana ospitiamo una classe: hanno avuto paura. E ne ho avuta anch’io. Abbiamo vissuto trenta secondi d’infinito. Durante la scossa del 30, invece, stavo celebrando la messa nel Monastero di Santa Teresa delle monache carmelitane scalze. Ora le monache non vivono più lì però, quella mattina stessa, ho portato un tavolino in giardino e ho concluso il rito eucaristico».
I Padri di San Nicola
Andrea Carradori
Alla fine del 2016, dopo i disastrosi sismi di ottobre, Andrea Carradori, maestro di coro, ha scritto un’accorata lettera al premier ungherese Viktor Orban per chiedere un aiuto per il restauro della Chiesa del Sacro Cuore, sede dell’Arciconfraternita laica dei ‘Sacconi’ di Tolentino di cui è il Priore. Questa richiesta singolare è motivata dal fatto che l’Ungheria “è l’unico Paese europeo ad aver inserito nella propria Costituzione un esplicito richiamo alle radici cristiane”.
“Ho letto con compassione il Suo resoconto sui danni causati dal Terremoto – aveva risposto all’appello Orban il 22 dicembre – e ho voluto portare la vostra richiesta di aiuto davanti al Governo d’Ungheria, il quale, nella sua seduta di dicembre, ha deciso di mettere a disposizione un finanziamento di 150 milioni di fiorini ungheresi, ossia di 480 mila Euro, a sostegno delle opere di restauro. Anche con ciò vorremmo esprimere la nostra solidarietà verso i nostri fratelli cristiani italiani colpiti da calamità naturale. Infatti, solo ritrovando i valori cristiani, i quali rappresentano tutt’ora la più importante forza di comunione per una Città e per un Paese intero, si può giovare al futuro dell’Europa. Si deve perciò ricostruire con la stessa naturalezza, dopo il sisma, la casa di Dio che la nostra dimora”. La Chiesa del Sacro Cuore, unica in Tolentino è stata oggetto di restauri e ha riaperto a dicembre 2017.
Don Gianni Compagnucci
Don Gianni Compagnucci, parroco della Concattedrale di San Catervo mi introduce nell’edificio religioso. “Sono qui da poco: sono arrivato già terremotato”, scherza. Dopo aver fotografato la Chiesa e la Cappella di San Catervo mi apre le porte della sacrestia completamente squassata dalle scosse. “Vedi quel quadro? Io non ho paura ad andare a tirarlo giù dal muro ma la soprintendenza ci ha detto che dobbiamo lasciare tutto come è e che non possiamo spostare nulla”.
Don Maurizio Bettucci
Don Maurizio Bettucci è il parroco di San Francesco e regge anche la chiesa di Santa Maria Nuova e del Santissimo Crocifisso (Chiesa dei Cappuccini). E’ lui che ci apre gli edifici ecclesiastici di sua competenza in una escalation di danni: da San Francesco caratterizzata da distacchi di intonaci e fessurazioni si passa a Santa Maria con crolli di parte della volta di una cappella e diversi distacchi delle decorazioni del soffitto. Ma è nella terza chiesa, quella dei Cappuccini, che si apre uno scenario terribile: tutta la volta dell’unica nave è completamente crollata e ricopre i banchi “appena comprati”. La volta della nave è, infatti, integralmente crollata e la volta del transetto presenta vistose crepe. La situazione è decisamente pericolosa pertanto mi addentro da solo nella chiesa rimanendo a contatto di voce con le persone in sagrestia alle quali comunico i miei movimenti lungo le cappelle laterali e la navata.
Edoardo Mattioli
Edoardo Mattioli, Presidente della Pro Loco di Tolentino e presidente del cda di Ales Pelletterie, specializzata in produzione di articoli in pelle e tessuto. Nei primi mesi dopo il terremoto la Ales ha ospitato nel proprio capannone una ditta “concorrente” e una famiglia di sfollati nei locali degli uffici.
Fabiano Gobbi
Fabiano, imprenditore, ci apre l’appartamento al primo piano di un edificio residenziale in Viale Vittorio Veneto. Tutto il primo piano è inagibile mentre i restanti appartamenti sono stati dichiarati abitabili. “All’indomani delle scosse abbiamo deciso di svuotare in fretta l’appartamento prima che venisse dichiarato inagibile”.
Gabriele Luconi
Gabriele ha l’azienda agricola fuori da Tolentino verso Regnano. Qui torna per “Il 24 ho preso paura”, racconta Gabriele che abita fuori dal centro dalle parti di Regnano. “Ballava tutto, c’era polvere ovunque, non capivi dove era il sopra e dove era il sotto. Ma il 30, Madonna! il 30 ho sentito proprio i muri, le pietre dei muri che si spaccavano”,
Duilio Bellini e Lorenzo Bistocco
Duilio è referente della Protezione civile per il Comune di Tolentino e Lorenzo è un operatore. La Protezione civile nei primi giorni dopo il sisma ha dovuto fronteggiare una situazione estremamente complessa con migliaia di sfollati cui trovare un tetto ed a cui fornire i servizi essenziali. “Mancava tutto, anche le gru per scaricare i container. Avevamo migliaia di persone a cui dare un letto così abbiamo chiesto aiuto a degli amici sulla costa che ci hanno fornito dei lettini da spiaggia. In questo modo abbiamo parato al situazione fino all’arrivo degli aiuti”.
L’autore. Mario Rota è del 1967, è laureato in Lettere Classiche con una tesi in archeologia e vive a Bergamo. Inizia a fotografare in modo assolutamente inconsapevole sin da piccolo. Tra il 1989 ed il 1994 partecipa come archeologo e documentarista a diverse spedizioni scientifiche in Nord Africa, Turchia e Grecia approfondendo l’uso della luce, la composizione e l’arte di improvvisare in condizioni spesso impossibili. Da qui il suo approccio con la fotografia cambia e inizia a pensare che possa diventare una professione: negli anni successivi è impegnato nella riproduzione fotografica di beni storico-artistici per conto di istituzioni pubbliche e private italiane ed estere. Ora lavora come freelance per agenzie ed aziende, collabora con testate locali, nazionali ed estere e organizzazioni no profit, segue il mondo del teatro, della danza e della musica e dal 2003 fa parte di uno studio internazionale di fotografia di matrimonio. Ha all’attivo più di venti esposizioni personali e collettive.
Il progetto “Lo stato delle cose” è interamente autofinanziato e reso possibile dalla spontanea partecipazione di fotografi e autori nonché dalla collaborazione e dal supporto, non economico, degli enti locali, istituzioni, associazioni e società che ne hanno condiviso gli intenti documentari.
Per informazioni e contatti con Lo stato delle cose scrivere qui: osservatoriolostatodellecose
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