“Rimani saldo anche se tutto crolla”. Il santuario di San Nicola da Tolentino è il fulcro del cattolicesimo tolentinate ed un fondamentale punto di riferimento per tutta la Diocesi. La sua importanza è storicamente da ricercare nella presenza trentennale di San Nicola da Tolentino fino alla sua morte nel 1305 ed alla conservazione delle sue spoglie mortali. Ancora oggi il santuario, di proprietà comunale dopo le spoliazioni napoleoniche, è retto da uno sparuto manipolo di Padri Agostiniani: prima del sisma erano nove i monaci che risiedevano stabilmente nel monastero, oggi resistono solo padre Francesco, il priore, padre Gabriele e padre Giuseppe.
Racconta padre Gabriele: «La scossa del 24 agosto aveva già fatto diversi danni. Il 26 ottobre, invece, avevamo appena cenato, con noi c’erano i ragazzi del liceo. Ogni settimana ospitiamo una classe: hanno avuto paura. E ne ho avuta anch’io. Abbiamo vissuto trenta secondi d’infinito. Durante la scossa del 30, invece, stavo celebrando la messa nel Monastero di Santa Teresa delle monache carmelitane scalze. Ora le monache non vivono più lì però, quella mattina stessa, ho portato un tavolino in giardino e ho concluso il rito eucaristico».
Tutto il complesso ha subito ingenti danni: tutta la parte conventuale, le sale studio per i giovani, le aule per la convivenze, la biblioteca ed il museo sono inagibili. I monaci dopo aver passato alcuni mesi all’interno di casette mobili poste nelle vicinanze del Monastero ora hanno preso dimora nei locali medievali dello stesso adibiti in precedenza a magazzini. La basilica presenta gravi problemi alla facciata, danni all’abside, distacchi dagli affreschi del Cappellone (che conserva uno splendido ciclo di affreschi del 1330-1348 sulla vita del Santo, attribuiti al Maestro di Tolentino) e dal soffitto ligneo della navata centrale.
Non essendo possibile officiare le funzioni in chiesa nel retro del monastero è stato approntato un tendone adibito a chiesa temporanea. Camminare nel complesso è come addentrarsi in un irreale mondo congelato ai primi giorni del novembre 2016. Si passa da sezioni completamente buie e abbandonate, dai calcinacci, dalle cose ammonticchiate, alla chiesa-tendone illuminata da un’innaturale luce giallo limone, all’imponente mole della cattedrale irrealmente vuota ed immota come un animale addormentato. Irreale è l’ingresso nel Cappellone interamente fasciato dai ponteggi dei restauratori da cui sbucano rare immagini di santi ed angeli.
Cammino solo in questo luogo immoto e senza alcun suono, lento per non creare io stesso alcun rumore. Un piccione nel chiostro, un ratto, forse, nelle soffitte del monastero, una suora passa veloce attraverso una stanza. Eppure anche nella desolazione la sapienza dei monaci con le anime attrae giovani che ancora vengono a studiare nelle sale medievali o a ritrovarsi in esperienze comunitarie e la presenza del Santo esiliato dalla sua cripta, vuota, richiama qualcuno i cui crucci dell’anima si sciolgono in un piano silenzioso. Forse San Nicola, dietro le crepe dei muri e dietro le fragilità dei monaci che vi abitano, e proprio come un’entità senziente, pare abbia ritrovato una sua dimensione attrattiva, religiosa ma non solo, umana. Parafrasando una frase dettami da Padre Gabriele, San Nicola rimane ben saldo anche se tutto crolla.
L’autore. Mario Rota è del 1967, è laureato in Lettere Classiche con una tesi in archeologia e vive a Bergamo. Inizia a fotografare in modo assolutamente inconsapevole sin da piccolo. Tra il 1989 ed il 1994 partecipa come archeologo e documentarista a diverse spedizioni scientifiche in Nord Africa, Turchia e Grecia approfondendo l’uso della luce, la composizione e l’arte di improvvisare in condizioni spesso impossibili. Da qui il suo approccio con la fotografia cambia e inizia a pensare che possa diventare una professione: negli anni successivi è impegnato nella riproduzione fotografica di beni storico-artistici per conto di istituzioni pubbliche e private italiane ed estere. Ora lavora come freelance per agenzie ed aziende, collabora con testate locali, nazionali ed estere e organizzazioni no profit, segue il mondo del teatro, della danza e della musica e dal 2003 fa parte di uno studio internazionale di fotografia di matrimonio. Ha all’attivo più di venti esposizioni personali e collettive.
Il progetto “Lo stato delle cose” è interamente autofinanziato e reso possibile dalla spontanea partecipazione di fotografi e autori nonché dalla collaborazione e dal supporto, non economico, degli enti locali, istituzioni, associazioni e società che ne hanno condiviso gli intenti documentari.
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