Pescara del Tronto è la frazione di Arquata che ha pagato il tributo di sangue più alto, con 47 vittime. L’abitato è scivolato sul fianco della collinetta ostruendo parzialmente la via Salaria. Le macerie lungo la strada provinciale 129 sono state rimosse, rimangono scheletri di abitazioni con gli interni a vista e, volgendo lo sguardo in basso, il paese totalmente franato. Proseguendo si trova un ampio spazio, risultato dell’opera di demolizione di alcune abitazioni, che si è trasformato in una sorta di Spoon River del terremoto, con piccoli altari in legno con le foto e i nomi di alcune vittime. Inspiegabilmente sono ancora lì la carcassa di una vecchia auto e di una moto.
La “nuova” Pescara del Tronto la trovo percorrendo la Salaria. Le casette sono state costruite nella zona industriale, tra la Salaria e il corso del Tronto. Faccio un giro nell’area Sae e trovo comprensibile diffidenza, se non aperta ostilità, nei confronti di chi porta al collo una macchina fotografica. Gli operai stanno lavorando alla realizzazione della “Cittadella delle attività produttive”, voluta dalla CNA di Ascoli Piceno; una volta completata ospiterà diverse attività e strutture, tra cui un bar, un ristorante, una negozio di parrucchiere, una macelleria e un centro sanitario della Croce Rossa. Una volta superata la diffidenza iniziale alcuni abitanti mi accompagnano nell’insediamento, raccontandomi di come il loro atteggiamento derivi dal fatto che si sentono come gli animali nelle gabbie di uno zoo. Troppo spesso, mi raccontano, notano persone che dalle auto fotografano le macerie e le casette con smartphone e tablet, in una sorta di tour del dolore. Tra le Sae svetta il campanile della chiesetta in legno donata a Pescara dall’emittente Telepace. All’interno è custodito un crocefisso ligneo del Quattrocento, recuperato dalle macerie.
L’autore. Giancarlo Malandra è nato a Chieti nel 1968 e vive a Giulianova. Fotografo professionista impegnato per lavoro soprattutto nella fotografia di cerimonia, si dedica anche a progetti di ricerca personali, in maniera particolare documentando le tradizioni popolari della sua regione, l’Abruzzo, e non solo. Si è già confrontato con gli scenari del doposisma prima con il lavoro collettivo “3:32 i segni del terremoto” e successivamente con il reportage “La città negata” sulle conseguenze del sisma del 6 aprile 2009 a L’Aquila. I suoi reportage sono stati pubblicati, fra gli altri, da Touring Club Italiano, Witness Journal e Tesori d’Abruzzo.
Il progetto “Lo stato delle cose” è interamente autofinanziato e reso possibile dalla spontanea partecipazione di fotografi e autori nonché dalla collaborazione e dal supporto, non economico, degli enti locali, istituzioni, associazioni e società che ne hanno condiviso gli intenti documentari.
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