Immagini e testo di Ivan Romano. A Ischia fra il 21 e il 23 agosto 2017
La sera del 21 agosto 2017 ero come al solito davanti al mio computer, quando pochi minuti dopo il sisma a Ischia, le agenzie e i telegiornali cominciarono a rilanciare la notizia, frammentaria, confusa, un flash poco illuminato intorno alle parole “ci sarebbero anche dei crolli a Casamicciola”.
Il giornalista non aveva ancora finito di pronunciare la frase, quando una serie di suoni simili e precisi, cominciarono a dare vita al mio cellulare: “Hai visto, hai sentito, partiamo, ci sarebbero morti, guardo i traghetti.”
E’ così che comincia ogni volta, si cercano conferme, si studiano tragitti, si contattano amici e conoscenti in zona, nel mentre lo zaino si riempie, partono le mail di segnalazione verso Londra, sede dell’agenzia per cui lavoro e comincia una fitta corrispondenza, chiusa dai metadati che arrivano insieme alle raccomandazioni di stare attento, della photoeditor, di mia madre, della mia compagna.
Ad un’ora dai primi lanci d’agenzia, parto verso la tragedia, i media parlano di due morti e un’intera famiglia sembrerebbe essere intrappolata nei grovigli di ciò che resta della loro casa. In viaggio verso quello che immagino essere un esodo, alla radio, ci sono anche i numeri della fuga – “oltre duemila persone stanno lasciando l’Isola” – Casamicciola è un luogo di vacanza ad Ischia, uno scoglio neppure troppo piccolo in mezzo al mare.
A Napoli mi unisco ai soliti amici e colleghi, non siamo i primi ad esserci imbarcati per Casamicciola, la geografia, la distanza sono spesso un ostacolo. Intanto l’adrenalina sale, le ombre delle immagini che sappiamo di dover osservare da lì a poco, riportano tutto in una dimensione di angosciante frenesia, mentre sul traghetto, un affollato ponte, è invaso da giornalisti, operatori, volontari.
Sbarchiamo a notte fonda e subito siamo accolti da un popolo sfuggito alla paura del terremoto, famiglie, coppie, donne, bambini, tutti hanno negli occhi l’ansioso desiderio di tornare a casa, lontano dalla paura. Mentre fotografo le file sul molo di Casamicciola, avverto le prime differenze con gli altri terremoti, le persone che ho davanti scappano verso le loro case, sono ospiti in quei luoghi, forse domani, al comodo nei letti delle loro case, avranno già dimenticato.
Tra tutte le calamità, i terremoti sono quella che mi lascia maggiormente colpito, le persone sembrano disintegrate, spaesate, riconosci in loro due fasi, quella immediata della paura e successivamente, dopo qualche giorno, subentrano angoscia, rabbia, rassegnazione. Questi stati d’animo, modificano profondamente il rapporto con la storia che racconti, perché se all’inizio vieni accolto come una risorsa che può permettere loro di ammorbidire la sofferenza, condividendola al mondo; successivamente con la consapevolezza di aver perso tutto, questo rapporto muta.
Ma il terremoto di Casamicciola, è differente, i crolli ad esempio, sono concentrati in una zona relativamente poca estesa, individuarla e raggiungerla non è stato facile, quando siamo arrivati, albeggiava e i soccorsi avevano tratto in salvo quasi tutti i membri della famiglia rimasta sotto il crollo. L’odore di polvere, il grigio che copre le strade, le auto sotto i crolli, il paesaggio reso spettrale dall’improvviso abbandono, mentre qualche ritardatario scappa in ciabatte con la valigia tra le mani.
I luoghi stravolti dal sisma, diventano instabili percorsi in bilico sopra i dispersi, sopra i morti, si percorrono in silenzio e con grande attenzione, perché ogni rumore, può coprire un lamento, una richiesta di aiuto, ma a Casamicciola, nell’epicentro, le ferite sugli edifici, sembravano confortare l’angoscia della tragedia che ha il suono dei lamenti dei parenti e il colore dei teli bianchi.
La storia del piccolo Ciro, l’11enne eroe che aveva fatto schermo con il suo corpo al fratellino di pochi mesi, incastrato ancora sotto il crollo della sua abitazione, ci ha incollati nella stradina dove i soccorritori scavavano senza sosta nell’attesa di vederlo spuntare in alto, in braccio ad uno dei vigili del fuoco che operavano tra il cemento sgretolato, ma al passare delle ore, la zona rossa invalicabile, ci ha spinti sempre più lontano da quella immagine.
Lo abbiamo visto, molte ore dopo, vivo, sfrecciare su una barella, l’ultimo disperso, l’immagine del suo salvataggio, diffusa dalla fotografia dei carabinieri, mentre il piccolo è nelle braccia di un maresciallo. Nel frattempo la cronaca comincia pian piano a lasciar spazio alle ricostruzioni, si accenna al problema dell’abusivismo, rimbalzano accuse e ricalcoli della magnitudo.
Il giorno dopo, cominciano le visite istituzionali, un gruppo di residenti, contesterà apertamente un noto giornalista originario dell’isola, colpevole di aver pronunciato la parola abusivismo seguita dai soliti tanti condizionali, la nostra presenza non è più gradita, l’emergenza, la paura, il desiderio di trovare solidarietà, ha cominciato ad essere sostituito dalla rabbia.
Il bilancio è di due morti, 42 feriti, oltre duemila sfollati, in poche ore oltre mille persone hanno abbandonato Ischia, per loro, la paura è più forte del desiderio di godere delle vacanze nelle terme isolane o sulla splendida costa, il mio lavoro è finito, tornando lentamente verso i traghetti, attraverso i luoghi che portano i segni del tremore, fino a giungere a mare, dove le spiagge sono ancora affollate.
L’autore. Ivan Romano è un fotoreporter salernitano. Studente di sociologia e archeologia, nel 2010 lascia l’università a pochi esami dalla laurea per dedicarsi totalmente al fotogiornalismo. Dopo aver seguito da freelance, i principali fatti di cronaca e politica italiana, nel 2012 e 2013 collabora in subagenzia con le testate Gazzetta dello Sport, Corriere della Sera e Il Mattino. Nel 2014 fonda il collettivo Freelance News. Sempre nel 2014 diventa contributor per l’agenzia internazionale Getty Images di cui è stringer dal 2016. Vanta numerose pubblicazioni nazionali e internazionali su testate prestigiose come: Time, The Guardian, Der Spiegel, Forbes, Internazionale, L’Espresso, El Pais, Oggi, Telegraph, Financial Time, Panorama, Nature, Huffington, The Journal, La Repubblica e altri. Appassionato di antropologia culturale, dal 2015 è impegnato in un progetto sulle tradizioni religiose dell’Italia meridionale. Si è dedicato a progetti fotografici su ambiente, migrazioni e temi sociali. Dal 2016 partecipa a progetti e conferenze per la diffusione dei temi del suo fotogiornalismo, presso scuole medie, superiori e università. Dal 2017 è docente di Fotogiornalismo nei corsi avanzati presso la scuola Salerno Fotografia.
Il progetto “Lo stato delle cose” è interamente autofinanziato e reso possibile dalla spontanea partecipazione di fotografi e autori nonché dalla collaborazione e dal supporto, non economico, degli enti locali, istituzioni, associazioni e società che ne hanno condiviso gli intenti documentari.
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