Ho trovato davvero interessante partecipare a questa iniziativa, sia in veste di fotografo che di docente di fotografia.
E’ stata per me l’occasione per conoscere la città dell’Aquila, quella vera.
Sono stato assegnato come docente all’Accademia di belle arti dell’Aquila relativamente da poco e trovandosi la sede dell’Accademia al di fuori della “zona rossa” per me il centro della città era uno skyline di gru, impenetrabile. Per una mia forma di pudore non avevo mai chiesto ai miei colleghi aquilani di accompagnarmi, ne tanto meno di parlarmi del sisma e dei danni del centro cittadino. Temevo di risvegliare vecchie ferite.
Anche l’idea di visitare la città da solo mi sembrava “invadente”, andare in giro a fotografare i guai degli altri non mi è mai piaciuto, sarebbe stato come un girovagare per un ospedale importunando la degenza di pazienti che non conosci. A meno che non si trovi il modo di rendersi utili, e l’iniziativa dello Stato delle cose mi sembrava potesse offrirmi questa occasione.
Potevo accompagnare i ragazzi del corso di fotografia guidandoli tecnicamente nella ripresa mentre loro accompagnavano me alla scoperta delle profonde cicatrici della loro città, guidandomi nella comprensione delle vere problematiche del post sisma.
Il lavoro è stato diviso in due momenti distinti.
Il primo giorno è stato organizzato un photowalk che ha seguito un percorso disegnato dagli studenti del corso di fotografia, toccando luoghi più o meno noti alle cronache ma importanti individualmente. Ho associato questo percorso alla Divina Commedia dantesca.
Alcuni luoghi testimoniano ancora oggi l’orrore che il sisma ha causato, i segni evidenti di quotidiani interrotti, di vite inghiottite, di vuoti non vivibili nemmeno come tali perché ricolmi di macerie. Di ricostruzione. Di un’operosità caparbia. Come in un alveare dove ognuno fa la sua parte. Ho osservato le facce di questi lavoratori, si lavora senza badare a quanto manchi ancora per terminare l’opera, scoraggerebbe troppo. Le facce però a fine giornata sono tutte soddisfatte, quelle di chi sa di aver fatto un altro pezzo, per oggi. E così ogni giorno, un mattone in più, un impalcatura in meno.
Ci sono poi i luoghi più alti della divina Commedia aquilana. Un monumento scampato miracolosamente alla rovina, una bottega ancora aperta e una che riapre poco più in là, una ristrutturazione quasi ultimata, un controsoffitto di stucchi pregevoli che si intravede da una finestra di un palazzo ancora sorretto da impalcature. Bende intorno ad una ferita quasi del tutto rimarginata.
Con il corso di Fotografia di Moda il lavoro è stato ancor più introspettivo. Parlando con i ragazzi ho capito che dopo anni dal terremoto le mancanze sono mutate. Superata infatti l’emergenza, in cui si devono fronteggiare esigenze primarie, si è entrati in una lunga fase dove a mancare sono dei punti di riferimento personali che stentano ad essere rimpiazzati.
Quella bottega a cui si passava davanti tutti i giorni tornando a casa con il suo odore goloso, la faccia del salumiere così cordiale e familiare. Quel pub in cui ci si incontrava per una birra e la pizzeria poco più avanti testimoni di amicizie e amori. La scuola, la biblioteca, l’università.
Il quotidiano. Cose che un percorso naturale della vita modifica e ci porta via poco a poco, spazzate via in blocco dall’oggi al domani.
Sono state quindi concepite e realizzate delle foto che sottolineano il “non luogo”.
Un barbiere che fa la barba davanti alle rovine della sua vecchia bottega, un ragazzo che legge un libro su un cumulo di materiali edili davanti al cantiere della biblioteca, un postino che consegna una lettera infilandola in una cassetta appesa ad una porta senza più una casa attorno, una ballerina che danza su delle macerie con alle spalle ciò che resta del teatro comunale.
Alcune cose saranno ricostruite, altre no ma le atmosfere sono perse per sempre. Agli aquilani oggi non mancano supermercati in cui fare la spesa o parrucchieri ma quella bottega e quella salumeria. Non mancano locali o pizzerie ma manca quella che un ragazzo poteva chiamare la mia pizzeria, il mio pub.
Questo può fare la Fotografia, rendersi utile. Testimoniare e documentare. Andando un po’ oltre, con la presunzione e la consapevolezza di poter essere una forma d’arte, raccontare. Il compito difficile che con i miei ragazzi ci siamo posti è stato quello di riuscire a fotografare ciò che manca.
L’autore. Stefano Cesaroni è fotografo e docente di Fotografia all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila
Il progetto “Lo stato delle cose” è interamente autofinanziato e reso possibile dalla spontanea partecipazione di fotografi e autori nonché dalla collaborazione e dal supporto, non economico, degli enti locali, istituzioni, associazioni e società che ne hanno condiviso gli intenti documentari.
Per informazioni e contatti con Lo stato delle cose scrivere qui: osservatoriolostatodellecose
Per essere aggiornati sugli appuntamenti e iniziative dello Stato delle cose potete seguirci anche sui social network seguiteci anche sulla pagina Facebook e sul profilo Instagram ufficiali del progetto.