Tito Livio, nella sua Storia di Roma (Ab Urbe condita, VIII libro), descrivendo la guerra che i Romani mossero contro i Vestini, ricorda la conquista di Cutina e poi di Cingilia, l’attuale Civitaretenga, ad opera del console Giunio Bruto Sceva.
Nel tempo, l’odierna frazione di Navelli, che al momento del sisma del 2009 contava 200 anime, divenne un borgo fortificato, dominato da un castello, parte di un più complesso sistema difensivo, modificato nei secoli successivi. Dell’antico castello restava solo la torre civica del XIII secolo: il terremoto l’ha rasa al suolo. Sono rimasti in terra nella piazza (e sono visibili nelle foto), i grandi massi che nelle intenzioni dei tecnici dovrebbero essere utilizzati per la sua ricostruzione. Non sappiamo quanti anni passeranno: le opere da realizzarsi sono troppe ed i fondi non appaiono adeguati.
Il borgo è diviso in due piccoli rioni: il castello, a sinistra di chi entra dalla via ritratta nella prima fotografia della serie, collocata alla destra della Chiesa principale di San Salvatore, e il quartiere ebraico, poi denominato “ghetto” (“ru busc”): di grande interesse è infatti la presenza (dal XII al XV secolo) di un nutrito numero di ebrei in questo posto sperduto dell’antico territorio dei Vestini. Invero i normanni riconoscevano agli ebrei sostanzialmente i diritti dei cristiani. Analogo atteggiamento tennero i loro successori.
Rilevante sotto questo profilo la decisione di Ladislao, tra gli ultimi regnanti angioini di Napoli (figlio di Carlo di Durazzo – re di Ungheria e pronipote di Giovanna I D’Angiò, prima regina del sud Italia – e di Margherita di Durazzo) di attribuire nel 1393 al medico Mosè di Isacco de Vellecto ed a Consiglio di Dattolo di Tivoli e soci di abitare a L’Aquila, di esercitarvi la “mercatura” e le “arti”, di costruire sinagoghe, luoghi di sepoltura e comunque di praticare tutto ciò che i giudei, che abitavano nella città, facevano abitualmente secondo le loro tradizioni. Lo stesso sovrano il 27 luglio 1400 concesse analoghi diritti a Liguccio di Dattolo ed a suo figlio Gaio. La regina Giovanna II attribuì il 31 agosto 1422 al medico Salomone d’Anagni ed a Vitale di Angelo de L’Aquila, procuratori degli ebrei d’Abruzzo. D’altronde Civitaretenga, anche con i propri abitanti ebrei, è tra i “castelli” che parteciparono alla fondazione de L’Aquila.
Nel tempo però, mutando le posizioni nei confronti degli ebrei da parte dei regnanti, del clero e soprattutto dei pontefici, anche l’antico “ghetto” di Civitaretenga subì non poche trasformazioni. L’attuale palazzo Perelli, visibile in alcune fotografie, era il luogo in cui un tempo sorgeva la sinagoga. La stessa via e la piazza Giudea cambiarono nome nell’attuale Guidea, tentativo maldestro e forse anche cacofonico di cancellare la memoria della presenza degli ebrei. Sugli stipiti delle porte antichi segni ebraici furono scalpellati per trasformarli in simboli cristiani, soprattutto nel crittogramma IHS di San Bernardino da Siena.
Non so se e quando tornerà al suo antico aspetto, visto che a ben otto anni di distanza da quel maledetto 6 Aprile 2009, Civitaretenga altro non è che un cumulo di macerie e di edifici tenuti in sicurezza da enormi barre di acciaio, tuttora considerata zona rossa, completamente disabitata e interdetta a chiunque. L’emigrazione costante che ha ridotto considerevolmente la popolazione di questi borghi a poche decina di anime, congiuntamente ai problemi strutturali e finanziari connessi al processo di ricostruzione, inducono a pensare che molti di questi luoghi potrebbero trasformasi nelle Pompei del futuro.
Dal canto nostro ci auspichiamo che ciò non avvenga, perché è bene non dimenticarlo, la più importante ricchezza di questo Paese si identifica proprio nei suoi beni architettonici e culturali che abbiamo il dovere di preservare in ogni modo perché l’Italia oltre che Stato diventi realmente anche Nazione.
L’autore. Piero Lovero è nato a Bari dove vive e lavora. Avvocato e fotografo, predilige la fotografia di reportage e di documentazione dei luoghi del suo amato Mezzogiorno. Le sue immagini sono state pubblicate in diversi libri sulla Puglia e la Basilicata.
Il progetto “Lo stato delle cose” è interamente autofinanziato e reso possibile dalla spontanea partecipazione di fotografi e autori nonché dalla collaborazione e dal supporto, non economico, degli enti locali, istituzioni, associazioni e società che ne hanno condiviso gli intenti documentari.
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