Immagini di Marco D’Antonio con una nota di Antonio Di Giacomo
A L’Aquila la notte fra il 5 e il 6 aprile 2019
Qualcosa vuol dire se tutti gli anni, una volta l’anno, migliaia di persone si mettono in corteo al gelo della notte più lunga nella storia dell’Aquila. Venticinquemila secondo alcune stime, quindicimila per qualcun altro: erano comunque tanti i cittadini aquilani, e non solo, che in occasione di questo decennale hanno preso parte alla fiaccolata in memoria delle 309 vittime del terremoto del 6 aprile 2009. Dieci anni sono passati da allora. Molto è innegabilmente cambiato in città, ma non ancora abbastanza. Negare che la strada della ricostruzione sia tuttora in salita equivale, a nostro avviso, a non voler bene a L’Aquila. Significa non comprendere il sentire e i bisogni di una comunità che ritrova un senso comune nel mettersi in marcia con la fiaccolata della memoria, per oltre cinque lunghe ore nel cuore di una notte che a L’Aquila non ha mai avuto fine.
Senza alcuna voglia di scendere nell’agone della polemica politica – perché nella ricorrenza del decennale non sono mancate pure le querelle con tanto di botta e risposta – riprendiamo le parole dette al premier Giuseppe Conte dal cardinale Giuseppe Petrocchi: «Di promesse ne abbiamo avute tante. Ci sono attese che vanno ora riempite di fatti. Abbiamo avuto in questa terra, nel corso dei secoli, terremoti devastanti. Ma qui la gente è tenace e non si rassegna». Anche quest’anno lo Stato delle cose è stato testimone silenzioso, grazie all’opera del fotografo aquilano Marco D’Antonio, della fiaccolata fra il 5 e il 6 aprile. Fino a quelle maledette 3 e 32 in cui tutto è cambiato, il momento nel quale in piazza Duomo, dove del duomo di San Massimo in piedi ci sono rimaste solo le mura, 309 rintocchi di campana hanno scandito l’esercizio della memoria.
Alle prime luci dell’alba Marco ci aveva già affidato il suo reportage della fiaccolata, ma l’intesa era che lo avremmo pubblicato qualche giorno dopo. Per non aggiungerci al bombardamento mediatico del decennale, come da copione già quasi un ricordo, e perché quella marcia silenziosa qualcosa vuol dire e merita di vivere ben oltre le poche ore di evidenza che ha avuto nel rullo delle notizie e delle immagini il 6 aprile. Perché l’esercizio della memoria, a L’Aquila soprattutto, non può che essere una pratica quotidiana. Lo dobbiamo alle 309 vittime del terremoto, ma lo dobbiamo in particolare a quelli che restano. A cominciare dalle migliaia di bambini e ragazzi ai quali, da dieci anni ormai, viene negato il diritto a frequentare una scuola vera e sicura. «Di promesse ne abbiamo avute tante. Ci sono attese che vanno ora riempite di fatti ». Appunto.
Gli autori
Il fotografo. Marco D’Antonio nasce a L’Aquila nel 1978 . Dal 1999 inizia la sua carriera professionale appena conclusi gli studi di fotografia presso la scuola Graffiti di Roma. Fotogiornalista, viaggiatore, appassionato di storie, fotografo di scena, ritrattista e sperimentatore di nuovi linguaggi fotografici, negli anni viaggia in Europa, Medio Oriente, Asia, Africa e America Latina, producendo diversi progetti e reportage molti dei quali pubblicati sulle maggiori testate e agenzie fotografiche nazionali e straniere. E’ autore di due libri: Volti premiato nella sezione fotografia nel premio Annalisa Scafi nel 2008, realizzato all’interno del carcere “Le costarelle” di L’Aquila, e L’Aquila anno 0, nel 2010, che racconta la vita nella sua città, ad un anno dal terremoto. Insieme ad altri fotografi, prendere parte al volume 32 secondi per l’editore Massimo Roncari. Alcuni suoi lavori sono stati esposti in mostra a Genova, Milano, Roma, Napoli, Palermo, Berlino, Parigi e Londra. Nel 2007, insieme ad alcuni colleghi, fonda l’associazione Segni che apre, nel 2013 a L’Aquila, la Casa della fotografia.
Il giornalista. Antonio Di Giacomo è giornalista professionista. E’ nato a Bari nel 1970 dove vive e lavora per il quotidiano la Repubblica. E’ l’ideatore e il curatore del progetto Lo stato delle cose. Geografie e storie del doposisma.
Il progetto “Lo stato delle cose” è interamente autofinanziato e reso possibile dalla spontanea partecipazione di fotografi e autori nonché dalla collaborazione e dal supporto, non economico, degli enti locali, istituzioni, associazioni e società che ne hanno condiviso gli intenti documentari.
Per informazioni e contatti con Lo stato delle cose scrivere qui: osservatoriolostatodellecose
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