Racconti per cose e immagini. Un’analisi materiale e visiva del post-sisma
Il progetto fotografico nasce all’interno del gruppo di ricerca Emidio di Treviri, un team di sociologi, antropologi, geografi, fotografi e videomaker che lavorano con l’obiettivo di produrre materiale scientificamente rilevante che possa contribuire all’analisi del post-sisma del 2016/7. Nello specifico le foto provano a raccontare e ripercorrere l’esperienza delle persone colpite dal sisma a partire dai loro luoghi, dalla materialità ferita del proprio territorio, delle proprie case e degli oggetti, e la memoria collettiva e l’immaginario che vi sono proiettati. L’obiettivo è quello di mappare un’affettività quotidianamente presente nelle loro pratiche, ma spesso non presa in conto dai piani di gestione dell’emergenza, e nei progetti di ricostruzione che vedono queste popolazioni costrette ad abbandonare, o perdere, oggetti, case e luoghi. L’interesse è di concentrarsi sulla materialità, l’affettività e la memoria collettiva che emergono dalla relazione che le persone instaurano con la propria cultura materiale.
I terremoti, per quanto si parli di classificazione di zone sismiche e aree a rischio, rimangono sempre degli eventi imprevedibili, che creano sconvolgenti sia collettivamente che individualmente. Gli eventi sismici che hanno colpito l’Italia centrale hanno dato vita a una serie di conseguenze sul piano fisico e materiale che vanno dalla mobilitazione costretta, fino al perdere o lasciare la propria abitazione e ciò che si possiede.
La pianificazione degli interventi post-sisma crea a sua volta mutamenti e turbamenti su un piano socio-culturale e materiale dovuti alle differenti soluzioni attuate. L’eterogeneità delle aree, la differenza iniziale di capitale sociale ed economico di collettività, famiglie e individui, la disparità degli interventi, la classificazione tecnocratica, danno vita a fratture sociali e individuali che si manifestano sotto aspetti economici e simbolici.
Il sisma del centro Italia quindi ha lasciato tracce concrete e materiali riscontrabili superficialmente nei disastri causati dalle scosse ma rintracciabili, scavando più a fondo, anche nelle diverse pratiche e strategie adottate nel post-sisma, quali le differenti soluzioni abitative, l’accesso alle risorse, la perdita o il possesso di beni.
Cultura materiale e memoria collettiva
La cultura materiale è in questo quadro importante perché le cose e gli oggetti partecipano alla definizione delle persone proprio come è vero il contrario. È l’ordine delle relazioni con gli oggetti e tra gli oggetti che, attraverso la socializzazione reciproca, crea gli uomini che l’antropologia usa per esemplificare le categorie sociali (Miller 2014).
In questo avvicendarsi delle vite di cose e persone, l’uno può esprimersi con la voce dell’altro e viceversa, se possiedono storie simili, biografie condivise, fasi in cui l’oggetto transita nella vita del soggetto e il soggetto in quella dell’oggetto, l’uno può parlare per l’altro.
Intenzione di questa ricerca è quella di riuscire a narrare anche visivamente ciò che si analizza, la materia pre e post sisma in quanto portatrice di storie e accumulatore fisico dell’agire umano. In questa prospettiva la fotografia si pone come ulteriore mezzo di narrazione.
Dare vita a narrazioni visive determinate a rendere operativa su un piano funzionale la materia e ciò che ha da raccontare, significa dunque riconoscere il potenziale narrativo dei luoghi, delle cose, delle abitazioni, di come la gente vive la realtà attuale, quella che ha abbandonato, quella che ha ricreato e della loro rappresentazione che nasce proprio nel rapporto tra chi guarda e ciò che viene osservato. Come ha giustamente osservato lo storico Maurice Halbwachs (1996), la memoria non è solo immateriale ed individuale, ma è vissuta socialmente e si inscrive nelle comunità, nei luoghi e nelle cose. La memoria è materiale e collettiva, fa parte di quella che Halbwachs definisce una “comunità affettiva” che la mantiene viva attraverso ricordi, parole, luoghi e pratiche quotidiane. Nel caso di eventi sismici come quelli vissuti nel centro Italia, la comunità viene quindi a mancare delle proprie radici mnemoniche materiali. Nel momento in cui i luoghi, gli oggetti e le cose materiali in cui si iscrive la memoria collettiva della comunità vengono distrutte o profondamente cambiate, e i membri della comunità sono costretti a disperdersi nel territorio, ad allontanarsi per un periodo o a lasciare definitivamente le proprie case, le proprie abitudini e gli oggetti, si crea un vuoto di condivisione e di partecipazione alle pratiche di vita quotidiana. Tale vuoto è molto difficile da esprimere, proprio perché legato alla sfera affettiva ed emotiva. Attraverso questo progetto fotografico vogliamo ripercorrere proprio tali memorie collettive facendo parlare gli oggetti stessi: le case e le cose abbandonate in fretta e furia o nuovamente acquisite che ci raccontano una storia piena di ricordi e affetti di piccole comunità profondamente radicate nel proprio territorio.
Bibliografia:
Halbwachs M. 1996. La memoria collettiva, Milano: Unicopli 1996.
Miller, D. 2014. Cose che parlano di noi. Un antropologo a casa nostra. Bologna: Il Mulino.
Gli autori.
Il fotografo. Ferdinando Amato è nato ad Avola (Siracusa), ma attualmente vive e lavora a Perugia. Laureato in Antropologia culturale ed etnologia e in seguito diplomato in beni Demoetnoantropologici. Lavora come fotografo e videomaker freelance, realizzando parallelamente progetti di antropologia visuale per enti pubblici e privati. Attualmente fa parte del gruppo di ricerca Emidio di Treviri, progetto impegnato a costruire un’inchiesta sociale critica sul post-sisma.
L’antropologa. Eleonora Diamanti è ricercatrice e insegna antropologia alla University of Victoria (Canada). Si interessa a questioni di cultura urbana e media, memoria collettiva e immaginario urbano. Dal 2016 fa parte del gruppo di ricerca Emidio di Treviri per cui cura, con Ferdinando Amato, la sezione sulla cultura materiale. Insieme stanno realizzando uno studio ed un corto documentario sulla vita delle persone nel post-sisma in relazione alla materialità ferita dal terremoto. Eleonora è nata e cresciuta a Montefortino, nel cuore dei Sibillini.
Il progetto “Lo stato delle cose” è interamente autofinanziato e reso possibile dalla spontanea partecipazione di fotografi e autori nonché dalla collaborazione e dal supporto, non economico, degli enti locali, istituzioni, associazioni e società che ne hanno condiviso gli intenti documentari.
Per informazioni e contatti con Lo stato delle cose scrivere qui: osservatoriolostatodellecose
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