Un bombardamento. Questo sembra. Come a causa di un altro terremoto L’Aquila, dieci anni dopo la notte più lunga del 6 aprile 2009, torna al centro dell’attenzione mediatica nazionale (e non solo). Colpa, se tale può dirsi, del decennale del terremoto che, secondo copione, rompe anni di disattenzione o quasi. Colpa, in realtà, di un Paese senza memoria e non solo dei media che, pedissequamente, assecondano la retorica della memoria a orologeria, quella che dura a malapena una manciata di giorni per poi far precipitare territori e comunità nel buio dell’oblio.
Fiumi d’inchiostro sui giornali, cartacei e sul web, altri riversati in un imprecisato numero di libri tutti pubblicati o in uscita nel tempo del decennale, un diluvio di fotografie, documentari e speciali televisivi (basta guardare il palinsesto Rai per accorgersene: leggi qui). L’Italia, improvvisamente, si riaccorgerà così dell’Aquila.
E qualcuno si stupirà e si indignerà, per una manciata di secondi almeno, dinanzi alla scoperta che in dieci anni nemmeno una scuola è stata ricostruita a L’Aquila. O che, ancora, durante l’arco di questo decennio nessuno si è preoccupato di proteggere il duomo rimasto indifeso col tetto sventrato dalla notte del 6 aprile 2009. Per non parlare delle frazioni e dei paesi dove le lancette dell’orologio sono rimaste ferme alle 3 e 32. Ma tant’è.
Il tempo del ricordo durerà pochi giorni, non foss’altro per il dolo della concentrazione di reportage e iniziative, mostre e spettacoli, commemorazioni e cerimonie e dirette tivù. Perché se la memoria è un dovere etico e civile, che non riguarda evidentemente solo il mondo dell’informazione, è altrettanto vero che l’efficacia dell’esercizio della memoria può giungere solo dalla sua costante e quotidiana pratica nel tempo. E’ da questi presupposti che, fra l’inverno e l’autunno del 2016, nacque lo Stato delle cose: per tentare di riaccendere i riflettori sulle vicende aquilane quando esse, dopo anni di un’anomala e strumentale sovraesposizione mediatica, avevano perso notiziabilità.
Al lavoro da mesi e mesi nuovamente per raccontare L’Aquila oggi, nella convinzione che gli anniversari servano comunque a tirare ineludibili bilanci, quello che ci preme è continuare a farlo soprattutto quando L’Aquila sarà nuovamente uscita di scena. E’ il tempo della venticinquesima ora quello che ci interessa, il momento nel quale riteniamo sia indispensabile continuare a raccontare le geografie e le storie del doposisma e dell’Italia fragile attraverso la fotografia e non solo. In queste giornate di bombardamento mediatico e di impasse emotivo, invece, abbiamo scelto di stare da parte preferendo il silenzio. In segno di rispetto. Non solo per le vittime del terremoto, ma soprattutto per quelli che restano.
“Eppure io credo che se ci fosse un po’ più di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire” dice Ivo Salvini nell’ultimo capolavoro felliniano, La voce della luna, ispirato a Il poema dei lunatici di Ermanno Cavazzoni. Ecco. Noi crediamo che il silenzio che non c’è stato e non c’è in queste giornate convulse di ritrovata sovraesposizione mediatica a L’Aquila avrebbe aiutato a capire qualcosa di più dello stato delle cose.
L’Aquila. Scuola Carducci. Fotografia di Michele Belloni
Il progetto “Lo stato delle cose” è interamente autofinanziato e reso possibile dalla spontanea partecipazione di fotografi e autori nonché dalla collaborazione e dal supporto, non economico, degli enti locali, istituzioni, associazioni e società che ne hanno condiviso gli intenti documentari.
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